Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

mercoledì 17 luglio 2013

#185. musica per (non) primavere bernesi.

io non so se ci avete fatto caso, ma da quando abbiamo superato indenni il 21 dicembre 2012 sta succedendo un po' di tutto. 
io, per esempio, mi sono sposata, e già questo dovrebbe farvi attrezzare per tempo in vista di un devastante cataclisma naturale. in realtà si sta sposando un sacco di gente, e soprattutto - meraviglia delle meraviglie - un sacco di gente è incinta!, il che significa che la fiducia nel futuro non manca, nonostante tutto.
papa Ratzinger si è dimesso (oh) e al suo posto è stato eletto il papa dal nome più bello del mondo, Francesco (che, tra l'altro, si sta rivelando un gran papa).
poi è successo che, per esempio, quello di quest'anno a Berna è stato il più lungo inverno che ci si ricordi da molto tempo a questa parte, e pare che tutta l'Europa centrale, Italia del Nord compresa, non se la sia passata molto bene. come se non bastasse, la primavera non è forse mai iniziata, manifestandosi a malapena per circa una settimana, a metà aprile.
se Giove pluvio non ci è stato dunque amico, dobbiamo invece ringraziare nostro Signore della musica perché quest'anno ci sta davvero salvando. l'anno scorso, infatti, a parte poche eccezioni, il piattume la fece da padrone, mentre quest'anno per me personalmente potrebbe già finire anche solo per il fatto che è uscito un disco ENORME e tutta una serie di altri dischi di notevoli dimensioni.
perciò, se volete, facciamo una passeggiata nella bella musica di questa surreale primavera così ci passa un po' di malinconia (e di freddo).
Daft Punk: Random Access Memories
lasciate perdere tutte le recensioni che avete letto o che leggerete e ascoltate me. quest'album spacca, e più lo riascolti, più è una meraviglia musicale. la band che ha reinventato la dance music negli anni Novanta, avvicinandola al pop per portarla a un livello superiore, stavolta smette i panni sintetici e omaggia la grande musica che l'ha ispirata, da Giorgio Moroder a Pharrell, da Casablancas (The Strokes) a Nile Rodgers (Chic), per citare i più conosciuti. tutto è rigorosamente suonato, la produzione è perfetta, ma vi consiglio di equipaggiarvi di un paio di ottime cuffie per apprezzarla a dovere. stratificazioni sonore, melodie irresistibili, vere e proprie sinfonie pop, senza mai dimenticare di muovere il culetto: è un viaggio sentimentale nella storia della musica da intrattenimento, dove cuore e cervello funzionano all'unisono senza togliersi spazio a vicenda. 
quando esce un album così, che arriva forte sia agli esperti che agli ascoltatori distratti, bisogna avere onestà intellettuale, e chiamare le cose col loro nome: capolavoro.
ps: e, by the way. Get Lucky è la mia wedding song!
la migliore è: Giorgio by Moroder
ma io ti consiglio anche: Get Lucky, Instant Crush, Doin' It Right, Contact (in realtà tutte)

Disclosure: Settle
peccato che la parola capolavoro l'abbia appena usata. e di solito non la uso più di una volta all'anno. peccato, dico, perché altrimenti l'avrei usata per loro. loro sono due ragazzini inglesi (anche qui, chiamiamo le cose col loro nome), 21 e 18 anni, fratelli, e il loro album di debutto Settle è qualcosa di semplicemente sbalorditivo. è vero, infatti, che questo è probabilmente il momento giusto per la dance virata al pop, e che quindi le major mettano più volentieri mano al portafoglio sguinzagliando i loro talent scout, ma qui siamo di fronte a due poco più che teenager che prendono tutti i sub-generi della dance contemporanea - house, dubstep etc - e li innestano in una forma canzone pop servendosi di signori ospiti: la mia adorata Jessie Ware su tutti, ma anche AlunaGeorge, Eliza Doolittle, Sam Smith, e molti altri. il tutto con una sicurezza, con una visione d'insieme così solida che si direbbe farina del sacco di due plurinavigati deejays. 
un disco di una piacevolezza e intelligenza estreme, che vi straconsiglio per sollevare momenti sottotono o come soundtrack per le vostre sessioni di running.
la migliore è: When a Fire Starts to Burn
ma io ti consiglio anche: Confess to Me, You & Me, F for You



Kanye West: Yeezus
lo ridico per chi se lo fosse perso tempo fa: quando si parla di lui è meglio separare completamente l'uomo dall'artista. perché il primo potrebbe (e forse succederà un giorno) rovinare il secondo per sempre. 
l'uomo-Kanye West è uno stronzo. l'artista-Kanye West è un genio.
fatta questa premessa, non vi scandalizzerete più se dico che il titolo di questo album è una crasi tra il suo soprannome, Yeezy, e il nome di Gesù in inglese. e se vi dico che uno dei brani di questo album folle si chiama I Am God.
perché Kanye ci crede davvero, e vivaddio forse, perché solo un folle visionario può concepire un album così completamente diverso dai precedenti, cupo, minimale, spesso disturbante, servendosi di gente come Rick Rubin - uno dei più grandi produttori al mondo - e i Daft Punk, senza il timore di sembrare megalomane, misogino, e, appunto, una persona di merda.
e solo un folle può snobbare tutte le odierne strategie del marketing musicale, che lui stesso ha contribuito a influenzare, facendo uscire senza nessun preavviso un album senza videoclip né singoli e quasi senza copertina (vedere per credere).
follia pura o incommensurabile fiducia nei propri mezzi. o forse entrambe.
ciò che conta è che Kanye ha alzato di nuovo la barra. finora ha avuto ragione. vedremo il futuro, che cosa dirà.
la migliore è: Bound 2
ma io ti consiglio anche: Black Skinhead, New Slaves, Hold My Liquor


Mikal Cronin: MCII
spesso l'uso delle chitarre si associa a uno stato d'animo arrabbiato, ansioso, malinconico, depresso. fondamentalmente si tratta di direzionare l'energia, e la chitarra elettrica è sicuramente uno dei più potenti vettori musicali, in tal senso.
e tuttavia non sempre è così, e proprio l'album di Mikal Cronin è una piacevole, deliziosissima sorpresa: sembra di stare negli anni Novanta (e i muri di chitarre son proprio lì a ricordarcelo) ma con una leggerezza impensabile all'epoca, c'è un gusto pop misurato e solare, il tutto permeato da un mood molto sixties sospeso tra good vibes, malinconia e dolcezza. 
amo molto questi gioiellini inaspettati, colonne sonore perfette per catturare stati d'animo indefiniti, sospesi, ma irradiati dalla luce calda delle illusioni e dei sogni.
pura poesia pop, ideale per i vostri momenti testa fuori dal finestrino-vento nei capelli.
la migliore è: Change
ma io ti consiglio anche: Weight, Peace of Mind, Turn Away
Kurt Vile: Wakin on a Pretty Daze
mi sono avvicinata a questo album seguendo un criterio che uso spesso: il titolo. non sempre ci prendo, ma di solito sì. ecco quindi che, guidata dalle suggestioni evocate da svegliandosi in un grazioso stordimento (pressappoco: l'inglese in questo caso funziona meglio) mi sono letteralmente tuffata in quest'esperienza musicale, testa e cuore liberi da preconcetti.
come suggerisce il titolo, ci si sveglia storditi dopo una sbornia, o un grande dolore, o un isolamento dal mondo che ci rende la ripresa di contatto con la realtà difficile e farraginosa.
è un disco di ritorno alla vita, fondamentalmente, e chi mi conosce sa quanto caro mi sia quest'argomento. una robusta seduta di psicoterapia che ti riporta su dopo che stavi per affogare. ma che si ferma un attimo prima del riaffioramento, in quel magico momento simile al dormiveglia in cui tutto sembra confuso ma che in realtà ospita picchi di lucida creatività e consapevolezza.
e la musica? direte voi. giustamente. la musica è al servizio di questo mood: musica che ha un suo passo, diverso da tutti gli altri, con le chitarre che anche qui omaggiano gli anni Novanta (vedi Cronin, sopra) senza però eccedere in energia negativa, la voce da crooner imperturbato e sonnacchioso di Vile, i brani lunghi, quasi sfatti alla fine, della sostanza di cui son fatti i sogni (semicit.).
e poi questa frase, che vale da sola il disco: "I might be adrift but I'm still alert / Concentrate my hurt into a gold tone".
non è forse questa la grande lezione del dolore?
la migliore è: Goldtone
ma io ti consiglio anche: Pure Pain, Girl Called Alex, Never Run Away
Phosphorescent: Muchacho
a differenza del precedente, questo album aveva tutte le premesse per respingermi: titolo kitsch, alias improbabile (più che di un cantautore sembra quello di un deejay acid house degli anni Novanta), copertina con due donnine semisvestite sullo sfondo. poi ho pure scoperto che si trattava di un album etichettato come "country rock con un piede nella modernità", e per me sarebbe morta lì.
però leggevo recensioni entusiastiche ovunque, e mi sono incuriosita.
et voilà, la bellezza.
perché l'album del signor Matthew Houck usa il country come pretesto, come trama di seta su cui innestare un percorso psicomusicale di rinascita e catarsi, voce splendida e grandi arrangiamenti.
un percorso che nasce dalle zone buie e impervie della coscienza, facendosi aiutare da espedienti "moderni" ed elettronici quasi dream pop, per giungere al sole accecante della rinascita, musicalmente più tradizionale ma non per questo meno emozionante, tra archi e cori gospel che caratterizzano il magnifico trittico finale.
se Kurt Vile risale in superficie ma ci racconta l'attimo prima del riaffioramento, Phosphorescent mette la testa completamente fuori dalla finestra, sole in faccia e aria pulita nei polmoni.
rinfrancanti entrambi, ma in modo splendidamente diverso.
la migliore è: A New Anhedonia
ma io ti consiglio anche: Song for Zula, The Quotidian Beasts, Down To Go