Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

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martedì 21 giugno 2016

#217. l'estate è la mia stagione: i miei 43 motivi e una premessa nostalgica


L’estate è la mia stagione: adoro mettere i sandali, girare per casa con il vestitino leggero e i piedi nudi, mi piace tornare a casa sudata e stanca e sentire la frescura rigenerante appena varcato il portone. Adoro abbassare tende e tapparelle e lasciare che il sole e il caldo filtrino appena dalle fessure, mi piace sentire i rumori della città che passano dalle finestre aperte e vedere i fiori nel pieno del loro splendore aprirsi finalmente al sole.
Mi rende felice mangiare sul terrazzino, dalla colazione alla cena, e accendere le lanterne la sera, a ricamare disegni andalusi sul muro ancora rovente.
Ricordo le afose e grigie estati torinesi e ci faccio la pace, mi tornano in mente le interminabili camminate lungo corso Vittorio fino al Po, e al ritorno la ricerca di un po’ d’ombra nella mia adorata via Mazzini.
Ricordo le estati da adolescente, lunghissime e spesso trascorse senza vedere il mare neanche una volta, passate in buona parte in compagnia di persone che non mi piacevano e che frequentavo per non stare sola.
Quella Torino è un ricordo amaro, le sue strade e i suoi giardini mi rimandavano indietro un senso di inadeguatezza che a lungo mi è rimasto appiccicato addosso, proprio come afa estiva.
L’estate è la mia stagione, e quando dicevo di detestarla era perché ero adolescente e mi si paravano davanti mesi di noia senza poter vedere i ragazzi che mi piacevano.
Eppure, anche in quel periodo, amavo la siesta pomeridiana con le tapparelle che lasciavano filtrare lunghe strisce di sole sul muro, mi piaceva tornare dalla passeggiata in centro e andare a prendere il ghiacciolo al limone sempre nello stesso bar di via Monginevro, e amavo perdermi nel suono della musica la sera dopo cena, mentre i miei guardavano la tv e io indossavo le cuffie, sognando di amori estivi alla finestra mentre fuori l’asfalto continuava a restituire calore, solcato solo raramente da qualche macchina.
Ma l’estate non è solo questo, è anche la somma di mille altri ricordi buffi e meravigliosi.
E’ il dopo cena da mia nonna Anaide, sulle panchine di corso Rosselli, dove non tirava un refolo di vento e il silenzio stanco della strada era spezzato solo dalle romanze cantate da un signore del quartiere appassionato di lirica; sono i viaggi in macchina verso la Riviera Romagnola, io i miei e mio cugino Denis, felici su macchine sgangherate che, quando gli si rompeva un radiatore, l’unica acqua disponibile era quella delle pompe a getto, nei campi, e ci si lavava dalla testa ai piedi; sono i pomeriggi ai giardinetti di corso Ferrucci con R., le interminabili chiacchiere tra panchine e altalene, e poi, quando lei andava in vacanza, la gioia nel sapere che era arrivata una sua nuova lettera dal mare in cui mi raccontava nei minimi dettagli tutto quello che le succedeva, e mi pareva di essere anch’io lì con lei; è l’androne del palazzo di S., freschissimo e ristoratore dopo le lunghe passeggiate in centro, e l’anguria messa a raffreddare in un secchio con l’acqua corrente da sua madre, e il momento in cui l’addentavamo sbrodolandoci tutte, ma soddisfatte; è l’estate del ‘95, sospesa nella speranza che F. mi dicesse sì e passata a fantasticare più del solito e finalmente a crederci anche io, con l'impagabile complicità di M.; è quella del ‘96, trascorsa con R., in cui per molti pomeriggi imparammo a conoscerci e a volerci bene sulle panchine di piazza Solferino e che fu memorabile per quella cassettina di musica soul che lei mi compilò, e che feci ascoltare ai miei nel lungo viaggio verso le vacanze in Toscana; sono le chiacchiere in macchina con S. e sua sorella, e il gelato da Gatsby, e quel sabato sera in una discoteca in collina e il nostro micropisolo in macchina prima di arrivarci; è l’estate più incredibile della mia vita, quella del 2000, quella dei 21 anni e dell’incontro con Giordano, e poi quella del 2001, a San Pietroburgo, con R., la migliore compagna di viaggio di sempre, a scoprire nuove parti di me stessa e a stupirmi come anche lì potessero esserci 36 gradi e il sole fino alle 11 di sera; e infine tutte le estati successive, ad attendere il momento di scendere in Sicilia, e poi la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 2006, e i ritorni dalle vacanze con relativi resoconti, e tutte le mini gite, con gli amici più cari che magari ora non sono più compagni di viaggio ma che avranno sempre un posto prezioso dentro di me.



Potrei citarne miliardi, di mini-ricordi come questi.



Ma quello che più amo e ho sempre amato, a prescindere dal periodo della vita in cui mi trovo, sono queste cose:

  1. svegliarmi con la luce del sole che già filtra dalle tapparelle
  2. preparare grandi ciotole di insalate di pasta e non accendere i fornelli per un paio di giorni
  3. mangiare un sacco di frutta che adoro: fragole, albicocche, angurie, meloni, pesche
  4. andare in piscina ed entrare in acqua tremando per lo sbalzo termico
  5. guardare la pelle arrossata dal sole dopo una giornata ad abbronzarmi e controllare i segni del costume e quindi
  6. avere bisogno di molto meno trucco
  7. vedere la gente allegra che si gode l’aria aperta, i tavolini fuori dei bar, le gite alla domenica, i picnic sull’erba
  8. ascoltare le radio commerciali per scoprire quali sono i tormentoni dell’estate
  9. fare le playlist per i viaggi lunghi in macchina
  10. abbassare le tapparelle di casa nelle ore più calde per fare entrare meno calore
  11. fare la siesta con le cuffiette
  12. pranzare da sola sul terrazzino guardandomi vecchi episodi di Beverly Hills 90210/La Tata/Daria
  13. mangiare il gelato per strada, stremata dal calore, e assaporarlo fino all’ultimo morso
  14. i ghiaccioli al limone
  15. tamponare Amelie con un panno bagnato fresco e vedere che le piace un sacco
  16. dormire senza lenzuola, con le finestre aperte
  17. fare il pisolino con mia mamma a casa sua, tenendoci per mano mentre chiacchieriamo prima di addormentarci
  18. andare nei supermercati e cercare refrigerio nel reparto surgelati
  19. mettere la testa nel frigo
  20. preparare il ghiaccio per le bibite
  21. mettere i piedi a bagno nell’Aare ghiacciato
  22. pianificare le vacanze e contare i giorni
  23. accendere le lanterne alla sera, col buio più assoluto
  24. innaffiare le piante alla sera
  25. i vestitini
  26. l’odore dei costumi da bagno
  27. i cani che fanno il bagno (nel fiume, nel lago o nel mare)
  28. le cartoline
  29. le chiacchiere al buio, mentre la città si ritira accaldata
  30. gli ultimi preparativi prima delle ferie
  31. le cicale
  32. i grilli
  33. i pediluvi lunghissimi e la cremina per i piedi ghiacciata
  34. le repliche di vecchie commedie in tv
  35. l’ombra degli alberi
  36. i saldi
  37. le città di sera
  38. le riviste da leggere nei momenti di ozio
  39. i piedini nudi dei bimbi nei passeggini
  40. asciugare i capelli all’aria
  41. camminare a piedi nudi per casa e, quando possibile, sull’erba fresca
  42. fare La Settimana Enigmistica e risolvere i cruciverba difficili
  43. IL MARE.

BUON SOLSTIZIO D'ESTATE! (photo courtesy Pinterest)





martedì 7 giugno 2016

#216. buon 7 giugno e soprattutto buon #findingmyvoice day!

E insomma il blogghino esiste ancora, per chi se lo stesse chiedendo.
Ma la vita accade e, siccome ha sempre ragione lei, le oppongo meno resistenza possibile.
Funziona così: in mancanza di tempo libero, bisogna tornare ai fondamentali, a ciò che è davvero importante.
E siccome c'è un po' questa abitudine, ultimamente, di dedicare una giornata a qualsiasi cosa (spesso con gatti gattini e gattacci di mezzo) ho pensato chi sono io per NON inventarmi una giornata mondiale di qualchecosa? 

Avendo da poco ritrovato in soffitta (qui a Berna, eh? Che tenerezza) tutti dico TUTTI i miei diari personali dell'adolescenza, devo dire che oltre a essermi divertita come una matta e avere anche pianto a dirotto mi son ritrovata a pensare, appunto, ai fondamentali.
L'adolescente contiene in sé tutti i possibili adulti che può diventare e scopre la sua strada imprecando, inciampando, ma anche saltellando allegramente.
E quanta gioia ho provato nel rivivere su quelle pagine sgualcite la mia memorabile estate del 1995, e quante emozioni nel rivedere proprio la data di oggi: 7 giugno.
Quindi ho deciso: ogni anno, il 7 giugno, festeggerò il mio personale #findingmyvoice day, perché tutti ce lo dovrebbero avere un giorno così, un giorno in cui tutto si rivela, in cui fai una cosa di cui avevi paurissima, in cui capisci un po' meglio chi sei, in cui si accende una luce e chi vuole spegnertela deve passare sul tuo cadavere.

Se volete, questa giornata può diventare anche la vostra. Oppure scegliete un'altra data, in cui è successo qualcosa di simile anche a voi. Altrimenti, leggete qui che vi racconto bene cos'è successo quel giorno.

Ero una sedicenne profondamente insicura, impacciata e infelice; non valorizzavo il mio aspetto e non mi sentivo minimamente apprezzata dai ragazzi. Tutto questo creava un circolo vizioso di vittimismo, inesperienza e immobilità che non faceva che alimentare la mia purtroppo già evidente tendenza alla depressione.
Sul diario raccontavo prevalentemente dei ragazzi per i quali avevo una cotta, elencando allo sfinimento tutte le nostre sterili occasioni d’incontro ed esaminando ogni battito di ciglia dei malcapitati. In realtà c’era una spiegazione funzionale per tutto questo: avevo pochi amici, una situazione conflittuale in casa e dei pessimi rapporti coi miei compagni di classe che talvolta sfociavano in veri episodi di bullismo, e dunque l’unico momento di svago e di gratificazione era poter anche solo vedere l’oggetto delle mie attenzioni e magari notare uno sguardo rivolto nella mia direzione. Nel diario menziono poco tutte le difficoltà vere dei miei sedici anni, e se non fosse che invece ne ho un vividissimo ricordo dubiterei della loro stessa esistenza.
Ma, appunto, esistevano: e sentivo che non era giusto così, che c’era sicuramente una parte di mia responsabilità ma anche che forse il mondo che mi circondava non era fatto per persone introverse e poco sociali come me.
In questa tensione venivo continuamente tirata ora da una parte ora dall’altra, tra la necessità e il dovere di essere me stessa da un lato e il bisogno di essere accettata, di diventare un animale sociale dall’altro.
A metà della seconda liceo vissi un momento terribile: venni presa di mira da un compagno di classe (“ehi, brutta? guarda che l’unica brutta della classe sei tu”: sarei curiosa di vedere che trentasettenne sei diventato, pezzodimm***. Ma sui social - ahimè - non esisti), le mie amichette del cuore di allora mi voltarono le spalle, la mia amica storica - con cui ero cresciuta - si stava definitivamente allontanando da me. Scrissi parole molto brutte sul mio diario, parole che nessuno vorrebbe mai leggere ma, come ogni volta mi accadrà in momenti rivelatori come questo, seppi far uscire la voce della mia vera me, che reclamava il suo posto nel mondo.
Decisi di circondarmi solo di persone simili a me ma che soprattutto sapessero infondermi autostima, coraggio e determinazione nel voler cambiare le cose. In una parola: che sapessero ISPIRARMI.
Fu una scelta saggia: due di queste nuove amiche mi presero letteralmente per mano, il 7 giugno di ventuno anni fa, e mi dimostrarono coi fatti come funziona una vera amicizia.
Ad accompagnarti là dove più ti tremano le gambe e a dirti: ora tocca a te, ma noi siamo qui. Non faremo le cose al posto tuo, ma ci saremo se avrai bisogno di noi. Tu sei speciale, non devi temere nulla: comunque andrà, noi ti vorremo bene lo stesso.
E così furono loro ad avvicinarsi al ragazzo che allora mi piaceva, ma fui io a parlarci e a metterci la faccia. Fui io a telefonargli per capire che intenzioni avesse, dopo un mese di ambiguo silenzio, ma fu una di loro a tenermi la mano che tremava mentre con l’altra tenevo la cornetta. Fui io a scrivergli una lettera durissima a reclamare chiarimenti e prese di posizione, ma fu in seguito l’altra mia amica a chiamarlo e a difendermi, facendolo sentire piccolo così. E alla fine fu lui a venire a cercarmi - per silurarmi, detto senza troppi giri di parole - ma a chiedermi scusa 300 volte, a evocare fantomatici casini che gli erano capitati, a dirmi che gli ero davvero piaciuta, che avevo un gran caratterino e che in generale avrei potuto avere tutti i ragazzi che volevo (non lui, evidentemente, che mi raccontava di avere la ragazza da poco).
E lì io capii di non aver bisogno di lui, ma di sentirmi dire esattamente quelle cose: ed era un diritto che mi ero conquistata uscendo dalla mia zona di comfort e scoprendo nuovi, inediti lati di me stessa.
Quel 7 giugno accese una luce dentro di me che mai si è spenta, sebbene tante e tante volte offuscata, e ogni anno questa giornata mi ricorda di quanto so essere forte e di quanto, anche, sia una fenomenale e super rompicoglioni drama queen.

Buon 7 giugno a tutti, e ROAR.