Che musica si ascolta in un anno in cui si studia in modo matto e disperatissimo, in cui si decide di realizzare per davvero un proprio progetto armandosi di pazienza e costanza, in generale in un anno che si è succhiato una quantità spropositata delle proprie energie lasciando il resto sullo sfondo?
Si ascolta la musica che passa alla radio senza snobismo, ci si lascia qua e là ispirare da qualche recensione interessante ma anche da quegli album in cui alcuni artisti amatissimi della nostra adolescenza ritornano con successo ai fasti di un tempo.
E poi spesso si sceglie basandosi sulle suggestioni dei ricordi legati a questo o a quel brano ascoltato negli ultimi mesi.
Importante: al termine della classifica, se vi piace, trovate anche la playlist Spotify di tutte le 20 posizioni.
Pronti a partire? Go!!!
20. Snoop Dogg feat. Stevie Wonder and Pharrell Williams: California Roll
Baby you could be a movie star: che faccio, ve lo dico di cosa parla veramente questo brano? Ma che ci importa, se alla fine il risultato è questo confettino pop che urla PHARRELL WILLIAMS a ogni nota (e infatti c’è pure la sua voce) guadagnando altri mille punti con voce e armonica celestiali di Stevie Wonder. Ripeto, la canzone poteva uscire benissimo da un album di Pharrell e non sarebbe cambiato nulla (il che è positivo), però che bella questa attitudine rilassata (e te credo) e la rievocazione di quella Los Angeles forse anche un po’ stereotipata che ho tanto amato. Se ancora non avete capito il tema della canzone giuro che per Natale vi regalo una scorta di integratori di Omega 3.
19. Jess Glynne: Hold My Hand
Ecco un filone su cui puntare per far finta di essere quelli che ne sanno di musica pop: il ritorno delle house divas. Ritornate in auge con l’exploit di Kiesza l’anno scorso (ve la ricordate?), trattasi di cantanti dalla vocalità importante che si mettono al completo servizio della canzone da ballare, spesso facendo un passo indietro rispetto al produttore. Ecco, la differenza sta tutta qui: oggi le protagoniste sono loro. E Jess Glynne fra tutte. Non semplici featuring, ma voci attorno alle quali viene costruita la canzone, spesso di loro stesso pugno. Sono passati più di vent’anni dall’esordio dell’eurodance, e la figura femminile in musica ha oggi ben altro ruolo, ma il riff di pianoforte o sintetizzatore, i BPM accelerati e soprattutto la linea melodica irresistibile sono ancora lì, a esaltarci come allora.
18. Mark Ronson feat. Bruno Mars: Uptown Funk
Qui non si discute: avrebbero potuto tranquillamente intitolare il brano fenomenologia della canzone pop nel 2015 e sarebbe stato lo stesso. Mette in fila tutti gli stilemi pop musicali del del nostro tempo - la riconoscibilità e al contempo la novità del brano, come se fosse la somma di mille canzoni già ascoltate nella nostra vita; l’attitudine consapevolmente rétro; la semplicità della linea melodica che si innesta su una sapienza tecnica e produttiva di primissimo livello (leggi: essere i migliori senza farsene accorgere); la scelta di un talento che ci metta faccia e voce, senza oscurare ma alzi esaltando il deus ex machina della situazione; la voglia di muoversi, di star su, di cantare all’unisono. Elementi che convergono in un risultato perfetto che, lo sappiamo, non ci racconta nulla di nuovo ma accidenti come lo sa fare bene.
17. Disclosure feat. Lorde: Magnets
Faccio due conti e mi accorgo che a mettere insieme l’età media dei fratellini Disclosure e quella di Lorde vien fuori la mia età. E voi dove eravate, tra i 18 e i 21 anni? Loro stanno esattamente qui, in un punto di contatto tra il pop venato di dark della prodigiosa artista neozelandese e la house rivisitata e addomesticata dei djs britannici. Talenti di livello assoluto che, incontrandosi, invece di annientarsi si valorizzano, dando origine a una delle più interessanti e conturbanti contaminazioni pop dell’anno. E’ uno slow burner, quindi non aspettatevi fuochi d'artificio al primo ascolto.
16. Jovanotti: Il riparo
“Il cielo è il tetto più sicuro, il cielo sarà il nostro riparo” dice Lorenzo, e gli si crede perché in quest’anno disgraziato spesso i tetti ci sono crollati in testa. Un samba irresistibile incrocia una melodia italiana fino al midollo: parliamo d’amore sì, dei rischi ai quali va incontro, ma trasformiamo questa paura - legittima - in una celebrazione della vita e del solo fatto di provare questo sentimento. All’interno di un album troppo lungo, troppo variegato, difficile talvolta da decifrare e da digerire, in cui si è scelto di dare troppa ribalta a pezzi banali a discapito delle cose importanti da dire, questa gemma semplice dovrebbe essere il paradigma di ciò che potrebbe diventare la canzone d’amore italiana, se solo se ne avesse il coraggio.
15. The Weeknd: Can’t feel my face
L’ennesima riprova del fatto che il 2015 sia stato un anno molto positivo per la musica pop è questa grandissima canzone, responsabile del lancio del talento di The Weeknd, ragazzo canadese di origini etiopi, in cima alle classifiche del mondo intero.
Ennesimo aspirante al trono di erede di Michael Jackson - quel falsetto, quel senso del ritmo - The Weeknd fa in realtà un R’n’B infinitamente più cupo e malato, toccando tematiche scomode e servendosi di campionamenti punk e trip hop. In questo caso, però, oltrepassa ogni frontiera di genere e confeziona un pezzo di ballabilità estrema che tuttavia non ci fa sentire troppo stupidi, lasciandoci un retrogusto gelido che non fa che aggiungere fascino all’insieme. E quel titolo, poi.
14. Carmen Consoli: Oceani deserti
Dopo che i R.E.M., quattro anni fa, hanno deciso di abbandonarmi, l’unica granitica certezza musicale rimastami era Carmen. E però passavano gli anni dall’ultimo suo magnifico Elettra e nulla succedeva costringendomi a volgere altrove il mio sguardo fino a quando, all’inizio di quest’anno, ecco l’atteso successore. Sia chiaro: il livello raggiunto dall’album precedente non ha paragoni, ma in L’abitudine di tornare Carmen fa un passo avanti soprattutto nella composizione dei testi, sempre più capaci di raccontare storie senza giudicare ma anzi mantenendosi tra l’empatico e l’ironico (chissà a chi assomiglia?). Tra i numerosi brani, tutti pregevoli con picchi assoluti, per me vince questo, scritto coi fratelli Gazzè: la rievocazione di un rapporto ormai terminato, la descrizione dolente e appassionata delle diverse sue fasi, e l’alternanza tra la quiete repressa della strofa e l’esplosione melodica dello splendido refrain. Bentornata, amica.
13. Madonna: Heartbreak City
Grandi canzoni pop, grandi ritorni, grandi figure femminili che fanno i conti con se stesse: potrebbe riassumersi così, l’anno musicale che sta per finire. E inaspettatamente fa la sua parte - ancora - una signora che, qualunque cosa si pensi di lei, nella musica pop continua ad avere qualcosa da dire, tanto che Rebel Heart è uno dei suoi migliori album da molti anni a questa parte. Un album in cui lei si sdoppia: l’autoironica parodia di se stessa di brani supertrash come Bitch I’m Madonna ma anche la donna che affronta la rottura con l’uomo che ha amato rivelando inedite parti di sé con sincerità. Quest’ultima Madonna è quella che ho apprezzato di più e in Heartbreak City ammiriamo non solo la sua capacità innata di scrivere canzoni che funzionano, ma anche la scelta di proporsi senza artifici, finalmente.
12. Kendrick Lamar: King Kunta
Una delle perle di un album necessario, ispirato e profondamente coraggioso, tanto nelle tematiche quanto nelle scelte musicali, King Kunta è sì l’amara riflessione sugli stereotipi riguardanti la minoranza afroamericana ma è anche un irresistibile funk aggiornato all’anno 2015. Kendrick Lamar è sicuramente uno dei migliori artisti hip hop attualmente in attività, ma lo è soprattutto in virtù del fatto che, anche grazie a lui, l’hip hop sta tornando a essere il megafono dei conflitti e delle riflessioni sulla questione razziale che tanto è attuale negli Stati Uniti di oggi. Che poi lo faccia servendosi di codici come il jazz o il funk rende il suo messaggio ancora più credibile, e l’ascolto della sua musica un sicuro godimento per gli appassionati del resto del mondo.
11. Natalia Lafourcade: Hasta La Raiz
Di lei ne so quanto voi: poco o nulla. Eppure, per qualche miracolo che a volte accade nella programmazione radiofonica, questa canzone delicata e in punta di piedi, leggiadra come una piuma ma intensa ed emozionante (splendido l’arrangiamento e l’elegantissimo finale orchestrale) ha trovato spazio tra pulsazioni ritmiche, rievocazioni retromaniache e allegre canzoni dell’estate, e il fatto che il suo ascolto abbia preceduto il mio prezioso viaggio in Spagna è solo un dettaglio che mi rende questo gioiello ancora più caro.
Se ve la siete persa da questo momento non avrete più scusanti: magia pura della musica vera, che non segue tempo e mode e sa parlare scegliendo le più semplici delle parole.
10. Faith No More: Matador
Diciassette anni dal loro ultimo album e sembra passato un giorno. E’ un complimento? Sì, se parliamo di una delle band che ha musicalmente definito - in termini di qualità assoluta - la prima metà degli anni 90, una band che partendo da una matrice metal non si è mai vergognata di imbastardirla con contaminazioni di ogni genere (sottolineo: OGNI), dal funk alla bossanova per dirne due. E poi l’ironia più irresistibile, la voce fenomenale e schizofrenica di Mike Patton… Mi era mancato terribilmente, tutto questo. Con Sol Invictus tutto sembra tornato al suo posto - persino la stessa formazione di diciassette anni fa - con in più una raffinatezza esecutiva e compositiva diversa, ché tutti questi anni non sono passati invano. La prova più alta ne è proprio Matador, vero drama rock in più movimenti in cui non solo assistiamo sbalorditi alla performance di Mike ma in cui tutta la band sfodera le sue armi migliori per un crescendo violento ed epico allo stesso tempo. Bene così, io per altri diciassette anni sono a posto.
9. Mary J Blige: Whole Damn Year
Senti come suona l’ultimo album di Mary J Blige, una delle ultime gran signore della vocalità mondiale. Talento indiscusso e capace come poche di dare sostanza e spessore ai sentimenti umani, Mary però è artista che non si siede sugli allori: si prende un bell’aereo per Londra e si mette nelle mani dei nuovi, giovanissimi prodigi del pop/dance d’oltremanica: Disclosure, Emeli Sandé, Sam Smith, Naughty Boy. Non sempre la somma dei fattori dà risultati stellari, ma una certezza c’è: che la cura ha funzionato nel momento in cui Mary si dona con un brano come Whole Damn Year, la messa a nudo di un’anima profondamente ferita e di un corpo che si sta leccando le ferite. Il modo in cui Mary scandisce le parole, le carica di significato senza entrare nel drama gratuito è una lezione di interpretazione per chiunque voglia fare del canto il proprio mestiere.
8. Blur: Pyongyang
Erano anni che si vociferava di un loro ritorno, e molte di noi ragazzine degli anni Novanta hanno sperato di poter rivivere per un momento i palpiti di quegli anni. Poi all’improvviso, nei primi mesi di questo strano 2015, il gruppo dell’amato Daman Albarn sgancia la bomba: un album cantato e suonato dalla formazione originale, con tutti i talenti al loro posto. Sembra di tornare indietro sì, ma dentro ci sono anche tutte le esperienze parallele, musicali e di vita, degli ultimi anni, perché faccio notare che LORO hanno quasi 50 anni. Il risultato è un album bellissimo, inaspettato, dalle melodie fantastiche, fortemente influenzato dai loro viaggi in Estremo Oriente: Pyongyang è esattamente tutto questo, e per quanto mi riguarda è anche il refrain più bello ascoltato quest’anno (Damon, il mago dei refrain: ricordate The Selfish Giant, l'anno scorso?).
7. The Chemical Brothers feat. Q-Tip: Go
Un altro ritorno graditissimo e magicamente ispirato: i Chemical Brothers sembrano tornati - come i Blur, come i Faith No More - ai fasti degli anni Novanta, magari non ai picchi assoluti dei loro album-capolavoro ma sicuramente a un livello che migliaia di ragazzi e ragazzini da miliardi di visualizzazioni su YouTube oggi si sognano.
Nel magma sonico della loro ultima raccolta di canzoni, i fratellini affidano ancora una volta alle rime di Q-Tip il contrappunto lirico per il singolo apripista dell’album, che ne è anche il punto più alto: una motivational song iperadrenalinica che funziona in palestra, mentre si studia, sotto la doccia o dove diavolo vi serva dell’energia compressa per fare il salto decisivo.
6. Florence + the Machine: Delilah
Tante di noi amano Florence, di quell’amore che si prova per un’amica emotiva, un po’ stramba, a cui rubare i vestiti ma che sa sorprenderci al solo suono della sua voce.
Dopo alcuni album dalla bellezza altalenante, che rivelavano un talento forse ancora grezzo ma affascinante nel suo essere primitivo, con il suo ultimo Florence centra in pieno il bersaglio lasciando a una manciata di perfette canzoni rock, obliquamente melodiche, il compito di sublimare il sentimento dell’abbandono dopo una storia d’amore finita male. Di tutto il mazzo scelgo - con difficoltà - questo brano, che è tipicamente Florence ma mostra appunto quella maturazione che, invece di diventare un ripiegamento su se stessa, diventa energia e ritmo.
5. Major Lazer & DJ Snake - Lean On (feat. MØ)
Confessiamolo: le prime volte ci vergogniamo di battere il piedino a tempo. Troppo tamarra, dài. Certo che, però. Dall’undicesima in avanti è assuefazione, anzi diciamo pure dipendenza, perché bastano quelle prime cinque note tutte uguali a scatenare il su le mani: che siamo in macchina o in palestra, al supermercato o sotto la doccia, da soli o tra la folla l’effetto non cambia e ululeremo (anche mentalmente, perché no) i versi del ritornello come se fosse l’ultima cosa che faremo nella vita. E ci inchineremo ancora una volta al magico potere di una grande canzone pop. Ps: l'album l'ho pure ascoltato, ma è completamente folle e non ho ancora deciso se la cosa mi piace oppure no. Ma che importa.
4. Naughty Boy feat. Beyoncé and Arrow Benjamin: Runnin’ (Lose it All)
Una canzone pop gradevole, nessuna rivelazione fondamentale per il mondo della musica: ma alla fine arriva Bey. E parte il missile terra-aria. Primo singolo dell’imminente secondo album di Naughty Boy, dj e producer inglese tra i massimi esponenti di quel house/garage revival incrociato col pop che ha già lanciato fior di carrieroni (Disclosure, Sam Smith, Clean Bandit, Jess Glynne), è un pezzo di struttura tutto sommato tradizionale ma con due punti di forza: l’arrangiamento, che asseconda in modo perfetto il crescendo emotivo del pezzo, e poi lei, con quella sua voce potente e autorevole fin dai primi secondi della canzone, che se non vi scorre un brividino lungo la schiena dubito che siate umani. E poi occhio ad Arrow Benjamin, che esordisce alla grande con questi due fuoriclasse preparando il terreno al suo primo album di prossima uscita, che a questo punto sono molto curiosa di ascoltare.
3. Drake: Hotline Bling
E’ una banalissima (e anche sessista) canzone su una ex fidanzata da parte di un uomo geloso, un tema che se è stato svolto miliardi di volte già mi sto tenendo stretta, eppure perché mi è piaciuta così tanto, al punto da sentirmela risuonare in testa persino la mattina appena sveglia? Il ritmo, ragazzi, la chiave è tutta qui. Quell’irresistibile calypso che ondeggia morbidamente impedendoci di stare fermi, come anche ci suggerisce quel video geniale che dovete andarvi a recuperare: alla fine è un uomo che balla da solo, in modo buffo o forse no, come se volesse dire a tutti gli altri uomini se lo faccio io potete farlo anche voi. E sì, lo ammetto, la semplicità mesta eppure cool di tutto l’insieme mi ha fatto dimenticare che alla fine Drake è uno stronzo come tanti, ma che se fa venir voglia a tanti maschi alfa di rilassarsi un po’ e sfogare le proprie energie ballando, alla fine posso anche smetterla di fare la rompicoglioni.
2. Adele: Hello
La canzone definitiva dell’anno, quella che tutti aspettavano e che tutti ha messo d’accordo, perché proprio in questo Adele è maestra: a conciliare le fazioni più inconciliabili col solo potere della sua voce portentosa. Adele è una di noi (l’avete mai sentita la sua adorabile risata da stupidera?) con in più un dono magnifico, e su questo costruisce tutto: non ha bisogno di fuochi d’artificio, modernismi tirati per i capelli o trabocchetti di marketing con cui catturare gli sprovveduti. La sua immagine è elegante e vintage, ma allo stesso tempo le devono togliere l’uso di twitter perché quando lo utilizza da sbronza combina pasticci. Canta come se arrivasse da distanze siderali e poi se ne esce con un gesto da irresistibile stronza per sottolineare il passaggio fondamentale della canzone. E poco importa se nel suo ultimo, attesissimo album ci siano canzoni anche migliori e se, in generale, molto spesso sembra che alcune sue canzoni siano belle semplicemente perché cantate da lei, e non per chissà quale qualità compositiva: ormai questa giovane donna è patrimonio dell’umanità, e Dio sa quanto oggi ci sia bisogno di bellezza, semplicità, del giusto pizzico di cialtroneria e soprattutto della rassicurante morbidezza di quella coperta di cashmere a cui è stata paragonata la sua musica.
1. Bjork: Stonemilker
Indecisa tra la casellina “grandi ritorni” e quella “superbe artiste pop alle prese con un break-up record”, pago i miei omaggi alla più sfolgorante delle manifestazioni sonore ascoltate quest’anno.
Diamante di una raccolta di canzoni per me astrusa e inavvicinabile (non intendendo con questo un complimento), Stonemilker riscatta l’insieme ridando al mondo ciò che Bjork sa fare meglio: cantare lasciando che la sua voce danzi e si innalzi tra melodie aliene e orchestrazioni epiche.
Bjork si confronta con l’uomo da cui si sta allontanando dopo una vita passata insieme, gli chiede di rispettare i suoi bisogni emotivi e a noi viene dato il privilegio di assistere a questo dialogo triste e fatalmente destinato al fallimento, senza che tuttavia ci sfiori un’ombra di malinconia. Piuttosto quel che ci viene trasmesso, con leggiadria solo apparentemente glaciale, è il senso di integrità morale e il coraggio di difendere le proprie esigenze pur in un momento relazionale così difficile.
Più canzoni come queste Bjork, per favore.