Fiocchi grandi come palline da golf, fitti e quasi violenti, alberi ricamati e dolcemente piegati sotto il peso del manto sempre più spesso, strade e automobili e tetti e prati e lampioni coperti da una coltre bianca abbagliante e morbida.
Ogni occasione era buona, nonostante stessi preparando la cena, per uscire sul balcone e fermarmi a osservare quello spettacolo incredibile. Non passavano automobili, il silenzio era insolito, l'aria immacolata.
Tutto era vergine, perfetto.
E questa neve così autoritaria mi è sembrata dire: non temete, ci penso io. Laverò via tutto, ripristinerò l'equilibrio perduto, pulirò quest'aria sporca. Sono il mezzo che la natura sta usando in questo momento per dirvi che nulla è perduto, che il momento è terribile, durissimo, ma che io sono l'unica realtà importante, quella a cui tutti apparteniamo.
Poi è successo che, verso le dieci, una famigliola di mamma, papà, bimbo di quattro/cinque anni e cagnolino sono scesi al parco sotto casa, imbacuccati fino alla punta dei capelli, e hanno iniziato a giocare, a ridere, a farsi le foto. Nel silenzio irreale le loro voci ovattate sono sembrate una campana di consapevolezza, un richiamo verso la felicità, e io ho pensato che quel bambino la serata di mercoledì la ricorderà per tutta la vita.
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