Non pensarci.
Un giovanotto che ha già passato i trentacinque suona stralunato in mezzo a una band di ragazzini punk rock. Il cantante ventenne, in un maldestro tentativo di stage diving, atterra con tutta la faccia sul duro suolo. Il giovanotto torna a casa e sorprende la fidanzata con un altro.
Tre frasi per raccontare l'inizio di Non Pensarci, piccolo grande film italiano del 2007 (presentato al Festival del Cinema di Venezia, ebbe il plauso nientemeno che da Mario Monicelli), diretto da Gianni Zanasi e impreziosito da un cast perfetto sul quale giganteggia un irresistibile Valerio Mastandrea.
L'apertura, come nelle migliori canzoni rock, fulmina e con sintesi efficace racconta della sensazione, comune a molti, di essere fuori posto ovunque, estranei alla vita, al tempo, al luogo.
E allora Stefano, il giovanotto di cui sopra, lui che dalla ricca Rimini era scappato a Roma col suo sogno di rock'n'roll, lui che aveva rifiutato la logica borghese di una famiglia perbene e della sua azienda di ciliegie in barattolo, lui la pecora nera l'appestato il drogato, torna a casa e quel che trova non è esattamente quel che si immaginava.
La vita di provincia è pulita, funzionante, onesta ma le persone non rispondono al saluto, si passano accanto senza vedersi; la famiglia perfetta è piena di magagne, il padre, ormai pensionato dopo un infarto, si dà spensierato (?) al golf, la madre si affida a strani guru new age, il fratello - quello maggiore, quello più bravo, più a modo, più diligente, quello che aveva preso in mano le redini dell'azienda paterna - è un esaurito, sta facendo fallire l'azienda e si sta separando dalla moglie. L'unico raggio di sole è la sorella minore, un'incantevole creatura che ha scelto di dedicare la sua vita ai delfini.
Ed è qui che il film sorprende perché Stefano, vero deus ex machina, arriva al momento giusto per salvare la sua traballante famiglia e insegnarle a rimettere in discussione tutto, giorno per giorno, senza giudicare, senza affibbiare etichette. E allora Stefano non è più solo il drogato, che poi drogato non è ma è solo sincero, non è più l'eterno Peter Pan incapace di fare i conti con la realtà, ma è l'unico uomo vero che, pur con le sue imperfezioni e i suoi macroscopici errori ci prova, vive, si sporca, si confronta.
E in questa piccola favola la famiglia si avvicina, si stringe, si unisce, i tre fratelli si giocano il tutto per tutto per salvare l'azienda, Stefano scopre doti che non immaginava di avere. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma rimane, anche dietro al sorriso, se non alla risata goduta, un'ombra costante di malinconia, di amarezza, il magone di mille occasioni perdute, il dubbio che forse un certo tipo di logica col quale siamo cresciuti non porti da nessuna parte...
E tutte queste sfumature, magicamente, passano per il volto di un Valerio Mastandrea mai così bravo, efficace a giocare in bilico tra comicità e malinconia, lui con quella faccia un po' così, romano atipico, o forse no; e, attorno a lui, un coro di attori bravissimi su cui brillano i due fratelli: Giuseppe Battiston, che conferma le sue grandi qualità di caratterista, e Anita Caprioli che illumina la scena rappresentando l'unico personaggio davvero positivo del film.
Insomma, se avete voglia di divertirvi ma non troppo spensieratamente, di vedere all'opera un gran gruppo di attori, di sentire un'ottima colonna sonora sapete già cosa fare. A la prochaine.
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