Quest'anno, tuttavia, ho scoperto una parte dell'isola ancora inesplorata per me (incredibile, dopo tutti questi anni!), una striscia sottile tra il mare e le rocce di fascino davvero incredibile: il trapanese.
Devo correggermi, in realtà: alcuni punti di questa magica porzione di Sicilia li avevo già visitati (e amati). San Vito Lo Capo, la riserva dello Zingaro, Scopello (il pane cunzato: uno dei miei highlights culinari!), Erice: e proprio dalla vetta di Erice, qualche mese fa, ero rimasta incantata di fronte alle rigorose geometrie delle saline e alle poetiche e sfumate sagome delle isole Egadi.
Detto, fatto: e la due giorni trapanese è stata il momento più bello ed emozionante di questa mia ennesima estate siciliana.
La vera sorpresa è stata la gita alla laguna dello Stagnone: un luogo non così pubblicizzato tra le rotte turistiche, ma che mi sento di definire imperdibile. Un bacino di mare a perdita d'occhio che, partendo dalla Salina Infersa, costellata di suggestivi mulini e grandi mucchi di sale ordinatamente allineati, si apre verso l'orizzonte per stupire coi suoi fondali bassissimi (il punto più profondo è soltanto un metro e mezzo), trasparenti, da cui affiorano prati di salicornia e lastroni di antiche strade ormai sommerse. La formazione dell'isola Grande ha fatto sì che questa porzione di mare venisse letteralmente chiusa, creando un bacino calmissimo, dal lento ricambio d'acqua (che avviene comunque: nonostante il nome, non è un vero stagno) e caratterizzato da salinità e temperatura così alte da aver generato una flora e una fauna davvero peculiari.
Il giro della laguna, da percorrere con un barcone dalla chiglia quasi piatta, permette di giungere alla piccola isola di Mozia, un vero e proprio prodigio naturalistico e archeologico. Mozia fu infatti antica città fenicia, e nei primi del Novecento fu acquistata dalla famiglia Whitaker (bello comprarsi un'isola!) che finanziò tutti gli scavi i cui esiti hanno portato alla creazione del bel museo che porta il loro nome. Ancor più interessante è però la natura selvaggia e quantomai rigogliosa di cui è ricoperta l'isola: fichi d'india, melograni, ulivi, limoni, viti, solo per citarne alcuni.
Difficile è rendere l'idea di incontaminato che riesce a conservare questa isola davvero minuscola (l'abbiamo girata per intero nel giro di un'ora, a piedi): il caldo feroce delle due di un pomeriggio di metà agosto, i nostri vestiti appiccicati alla pelle, il sudore negli incavi di ginocchia e avambracci, il sole africano che non dava scampo, eppure la brezza, continua e ristoratrice, e poi la magnifica flora del luogo, e il silenzio, e l'erba arsa dall'estate, e il canto assordante delle cicale, che così forte non l'avevo sentito mai. Altre forme di vita umana? Pochissime.
Eppure qui, in questo spicchio di Sicilia, si ha la sensazione che uomo, natura e storia, per una volta, si siano magnificamente armonizzati per creare un luogo unico, sospeso nel tempo. Col mio vestito ampio, i miei bangles, il vento incessante, e il panama che mi riparava dal sole: forse ero in uno spaghetti western, e non lo sapevo.
... nel prossimo post: tramonto sulle saline di Nubia. un'esperienza mistica.
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