capita di vivere senza realmente vivere. di assolvere a tutte le funzioni primarie (respirare, mangiare, bere, dormire) ma di allontanarsi progressivamente da tutto ciò che ci rende umani: ridere, arrabbiarsi, gioire, disperarsi, amare. la vita diventa come il mare in un giorno senza vento, e ci scivola addosso, rotolando per inerzia.
il primo anno di università fu per me proprio questo: un angosciante anno di non vita, un buco nero di ricordi, qualcosa che forse non è capitato realmente, o forse sì, tanto era uguale.
non so come, ma la fine del travagliato periodo del liceo mi lasciò in assoluta balia di me stessa: non c'era più alcun alibi, nessun lupo cattivo a cui dare la colpa.
mi iscrissi alla facoltà di lingue forte di una scelta presa fin da quando avevo 14 anni. però, nel profondo di me stessa, non c'era più quella sicurezza, quell'assoluta convinzione. l'ombra del dubbio iniziava ad allungarsi su di me ma io la ignoravo, impaurita dalle possibili conseguenze.
ero rimasta quasi sola. e più rimanevo sola, più mi ritraevo sconfitta nel mio guscio.
e, musicalmente parlando, ero più confusa che mai.
l'anno precedente era stato sereno, e come in tutti gli anni sereni della mia vita avevo lasciato che la musica rimanesse sullo sfondo, che non mi impegnasse troppo: avevo altro da fare.
l'anno precedente era stato sereno, e come in tutti gli anni sereni della mia vita avevo lasciato che la musica rimanesse sullo sfondo, che non mi impegnasse troppo: avevo altro da fare.
in realtà tutto questo, come già accaduto in precedenza, non era altro che il presupposto di un ripiegamento che mi avrebbe portato a ritrarmi in un altro guscio, fatto di suoni.
nell'ottobre del 1998, infatti, uscì il primo singolo degli R.E.M. come trio: Daysleeper. un brano splendido, malinconico, notturno. amavo già da tempo gli R.E.M. ma stavolta fu diverso. era come se quel loro perdere un pezzo, diventare improvvisamente un trio, mi ricordasse di tutti i pezzi che mi ero lasciata alle spalle: le compagne di classe con cui avevo perso i contatti, la casa piccola e mai amata da cui avevo appena traslocato, le mie giornate da liceale, così organizzate e prevedibili e rassicuranti. non c'erano più mostri da sconfiggere, eppure anche questo mi mancava.
e allora, come si ripensa da capo una vita così regolare, anche nelle sue brutture?
come si continua a essere una grande band anche se l'amico di una vita ha deciso di tirarsi fuori?
come si continua a essere una grande band anche se l'amico di una vita ha deciso di tirarsi fuori?
si fa uscire un disco come Up.
tuttora ho delle difficoltà nel giudicarlo. bello? brutto? non saprei. sicuramente era l'unico disco possibile in quel momento per gli R.E.M.
cercano di sostituire Bill, il batterista, nel modo migliore che credono: con dei turnisti o con le drum machine. è qualcosa di nuovo, di imperfetto, ma sono ancora loro, ed è un modo per dire siamo ancora qui.
ecco come nasce l'amore per degli artisti. quando da semplice intrattenimento diventano chiave per capire la tua vita.
divenni monomaniacale. spendevo tutti i miei pochi risparmi nel recuperare la loro ricca discografia. imparai tutte le loro canzoni a memoria.
passai l'inverno più triste della mia vita e la loro musica mi fu unica, preziosissima compagna.
passai l'inverno più triste della mia vita e la loro musica mi fu unica, preziosissima compagna.
e, ancora una volta, fu la musica a salvarmi. e ad aiutarmi a resistere, a superare anche quel momento.
così venne la primavera.
ripartirò anch'io, lascerò molte cose alle spalle, uscirò dalla mia comfort zone. zoppicherò ma saprò ancora camminare, come ancora sa camminare un cane senza una zampa (semicit.).
presi carta e penna e scrissi una lunga lettera a una mia compagna di liceo, una di quelle che con più dispiacere avevo perso di vista.
mi ricontattò.
cominciai a uscire con alcune compagne di università.
d'estate andai a vedere gli R.E.M. a Bologna con mio padre, in una caldissima giornata di luglio.
ricominciai a vivere.
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