Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

venerdì 29 aprile 2011

Occasione di festa numero 83.

Cari amici, oggi avrei dovuto pubblicare un post diverso. Però stamattina è successa una cosa molto carina, una vera occasionedifesta, e quindi mando all'aria il programmino. La mia cara amica Noemi, infatti, qualche tempo fa mi ha chiesto di contribuire con un piccolo post a tema libero a una bellissima rubrichina del suo blog Tazzina-di-caffè (andate subito a leggerlo!!), intitolata Tazzina d'autore. Io sono solo una dei tanti bloggers che stanno partecipando, ed è bello e importante aprire questa piccola finestra e affacciarsi su mondi così diversi e interessanti. Il mio piccolo contributo è un po' un pugno nello stomaco, ma è esattamente la fotografia del mio stato d'animo attuale, e mi sembrava la cosa più sincera e spontanea che potessi regalare di me.
Questa grande occasionedifesta mi ha poi fatto pensare, per vie traverse, a quante sorprese si nascondano dietro le circostanze spesso più dolorose.
Ho conosciuto infatti Noemi durante la comune esperienza nella stessa redazione, agli inizi di quello che per me era il miglior lavoro del mondo, ma che in realtà mi avrebbe portato quasi al manicomio.
Quella disavventura ha messo in discussione molta parte del mio mondo, ed è stata una sofferenza necessaria, un'opportunità incredibile di crescita e di scoperta di me stessa. 
E poi, come un semino piantato quasi per caso e destinato a divenire un albero bellissimo, mi ha lasciato in eredità questa amicizia per me così preziosa, e in certi momenti della mia vita profondamente rivelatrice.
Noemi sa che lo dico con sincerità, e non per contraccambiare.
Nel passato alcune persone mi hanno fatto molto male. Probabilmente nemmeno lo sanno. E non sanno nemmeno che anche grazie a loro la mia vita è più piena, più degna, più consapevole, e sono sicura che le occasioni di festa che la costelleranno saranno ben più di mille.
ps: la foto sopra ritrae me e Noemi durante il mio ***esimo compleanno. Come si può ben vedere, stiamo dando lustro al nostro sport favorito, il curtigghio libero.

mercoledì 27 aprile 2011

Occasione di festa numero 82.


Non è bellissima ma crede di esserlo. Guarda il mondo da sopra la spalla inarcuando il sopracciglio. Si ritiene indispensabile, infallibile, incompresa da un mondo che non è alla sua altezza. E' spesso sola. Preferisce correre via da chissà chi che stare con chi c'è. Ostenta sicurezza, ma è depressa e a volte soffre di attacchi di panico. E' autonoma, in gamba, intelligente. Ma nessun uomo riesce a starle accanto. Pensa di aver capito molte cose, invece non ha capito niente. E' rimasta indietro e neanche se ne accorge, presa com'è a guardarsi allo specchio. Si compiace delle sue converse rosse nuove di pacca, del jeans superfit che le sottolinea il culetto, del bel paio di tette che si intuiscono da sotto la t-shirt di Banksy, del magnifico taglio dei suoi occhi.
Ha molta paura del futuro. Non sa nemmeno dove sarà domani. E con chi.
Intanto canta. La voce, quella sì che è bellissima. E anche di questo non si accorge.



venerdì 15 aprile 2011

Occasione di festa numero 81.

Non pensarci.

Un giovanotto che ha già passato i trentacinque suona stralunato in mezzo a una band di ragazzini punk rock. Il cantante ventenne, in un maldestro tentativo di stage diving, atterra con tutta la faccia sul duro suolo.  Il giovanotto torna a casa e sorprende la fidanzata con un altro. 
Tre frasi per raccontare l'inizio di Non Pensarci, piccolo grande film italiano del 2007 (presentato al Festival del Cinema di Venezia, ebbe il plauso nientemeno che da Mario Monicelli), diretto da Gianni Zanasi e impreziosito da un cast perfetto sul quale giganteggia un irresistibile Valerio Mastandrea.

L'apertura, come nelle migliori canzoni rock, fulmina e con sintesi efficace racconta della sensazione, comune a molti, di essere fuori posto ovunque, estranei alla vita, al tempo, al luogo.
E allora Stefano, il giovanotto di cui sopra, lui che dalla ricca Rimini era scappato a Roma col suo sogno di rock'n'roll, lui che aveva rifiutato la logica borghese di una famiglia perbene e della sua azienda di ciliegie in barattolo, lui la pecora nera l'appestato il drogato, torna a casa e quel che trova non è esattamente quel che si immaginava.
La vita di provincia è pulita, funzionante, onesta ma le persone non rispondono al saluto, si passano accanto senza vedersi; la famiglia perfetta è piena di magagne, il padre, ormai pensionato dopo un infarto, si dà spensierato (?) al golf, la madre si affida a strani guru new age, il fratello - quello maggiore, quello più bravo, più a modo, più diligente, quello che aveva preso in mano le redini dell'azienda paterna - è un esaurito, sta facendo fallire l'azienda e si sta separando dalla moglie. L'unico raggio di sole è la sorella minore, un'incantevole creatura che ha scelto di dedicare la sua vita ai delfini.
Ed è qui che il film sorprende perché Stefano, vero deus ex machina, arriva al momento giusto per salvare la sua traballante famiglia e insegnarle a rimettere in discussione tutto, giorno per giorno, senza giudicare, senza affibbiare etichette. E allora Stefano non è più solo il drogato, che poi drogato non è ma è solo sincero, non è più l'eterno Peter Pan incapace di fare i conti con la realtà, ma è l'unico uomo vero che, pur con le sue imperfezioni e i suoi macroscopici errori ci prova, vive, si sporca, si confronta.
E in questa piccola favola la famiglia si avvicina, si stringe, si unisce, i tre fratelli si giocano il tutto per tutto per salvare l'azienda, Stefano scopre doti che non immaginava di avere. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma rimane, anche dietro al sorriso, se non alla risata goduta, un'ombra costante di malinconia, di amarezza, il magone di mille occasioni perdute, il dubbio che forse un certo tipo di logica col quale siamo cresciuti non porti da nessuna parte... 
E tutte queste sfumature, magicamente, passano per il volto di un Valerio Mastandrea mai così bravo, efficace a giocare in bilico tra comicità e malinconia, lui con quella faccia un po' così, romano atipico, o forse no; e, attorno a lui, un coro di attori bravissimi su cui brillano i due fratelli: Giuseppe Battiston, che conferma le sue grandi qualità di caratterista, e Anita Caprioli che illumina la scena rappresentando l'unico personaggio davvero positivo del film.
Insomma, se avete voglia di divertirvi ma non troppo spensieratamente, di vedere all'opera un gran gruppo di attori, di sentire un'ottima colonna sonora sapete già cosa fare. A la prochaine.

lunedì 11 aprile 2011

Occasione di festa numero 80.



When I'm low, and I'm weak, and I'm lost
I don't know who I can trust
Paranoia, the destroyer, comes knocking on my door
You know the pain drifts to days, turns to nights
But it slowly will subside
And when it does, I take a step, I take a breath
And wonder what I'll find

Can you hear what I'm saying?
Got my mind meditating on love, love
Feel what I'm saying
Got my mind meditating on love, love

(The human condition)
(The human condition)

Too much blood, too much hate, turn off the set
There's got to be something more
When Mohammed, Allah, Buddah, Jesus Christ
Are knocking down my door
I'm agnostic getting God, but man
She takes a female form
There's no time, no space, no law
We're out here on our own

Can you hear what I'm saying?
Got my mind meditating on love, love
Feel what I'm saying
Got my mind meditating on love, love

[Check the meaning]
[The human condition]
[Check the feeling]
[The human condition]

Guess it's life, doing it's thing
Making you cry, making you think
Yeah life, dealing it's hand
Making you cry and you don't understand
Life, doing it's thing
Making you cry now, making you think of
Pain, doing it's thing
Making you cry yeah, making you sing

Don't say it, don't say it's too late
Don't, don't say it's too late (It's never too late, it's never too late)
Don't, don't say it's too late (It's never too late)
Don't, don't say it's too late

The human condition, the big decisions
The human condition, the big decisions

I'm like a fish with legs, I fell from the tree
I made a rocket (check the meaning), I made a wheel
I made a rocket (check the feeling), I swam the ocean (check the meaning)
I saw the moon (say a prayer), I seen the universe (and beyond)
I see you (check the feeling), I see me (check the meaning)
That's my reality
And while the city sleeps we go walking

It's a beautiful world
And when the city sleeps we go walking
We find a hole in the sky and then we start talking
And then we say "Jesus Christ, Jesus Christ, Jesus Christ
Buy us some time, buy us some time"
Hear what I'm saying
Can you hear what I'm saying?
Can you hear what I'm saying?
Can you hear what I'm saying?

It's gonna be alright


Richard Ashcroft, Check the meaning (2002)


venerdì 8 aprile 2011

Occasione di festa numero 79.

Mi piace definire perfetti quegli album che mantengono un livello di eccellenza dalla prima all'ultima canzone, senza cadute di tono, senza sbavature, compatti e coerenti, ricchi di idee e di ispirazione.
Automatic for the People è l'epitome degli album perfetti. 
E' il 1992 quando gli R.E.M., quartetto statunitense originario di Athens, Georgia, mandano alle stampe il successore di Out of Time, il loro album più fortunato. Il titolo scelto è Automatic for the People, dallo slogan che un ristoratore georgiano rivolge ai suoi affezionati avventori. Come sempre accade dopo che una band raggiunge un successo planetario, l'attenzione della critica e del pubblico si fa spasmodica ma anche un po' scettica, quasi che sia impossibile replicare la fortuna del predecessore. 
Intendiamoci: Out of Time è un disco piacevole, con perle di inestimabile valore (Losing My Religion valga per tutte), ma è discontinuo e a tratti frivolo. 
Automatic for the People non ricalca quella linea, come avrebbe potuto comodamente fare, ma rischia senza sbagliare un colpo, sia per la scelta dei temi, sia, soprattutto, per lo splendore delle musiche. 
La sua compattezza è anzitutto nell'atmosfera, che si mantiene cupa e malinconica quasi per tutta l'opera; e poi nei testi, i testi migliori che gli R.E.M. abbiano mai regalato, in cui la morte, il dolore, la malinconia e i ricordi si intrecciano nel tessuto narrativo.
Drive è un opener perfetto: scelto come singolo di lancio dell'album, si affida al semplice arpeggio della chitarra di Peter Buck e al carismatico cantato di Michael Stipe: efficace e centrato l'accompagnamento orchestrale - che ritroveremo in altri brani, sotto la direzione di John Paul Jones dei Led Zeppelin -, splendido il video, in un evocativo black and white.
A seguire, Try Not To Breathe è uno degli episodi migliori, e commuove senza retorica raccontando di un vecchio ormai prossimo alla fine che decide di non respirare più, abbandonandosi ai ricordi. The Sidewinder Sleeps Tonite è un delizioso divertissement che alza un po' il tono prima del'adamantina Everybody Hurts, una delle canzoni giustamente più famose degli R.E.M. che, più che per il testo, un accorato appello rivolto a qualcuno che non ce la fa più a vivere, colpisce per il crescendo strappacuore e l'amplissimo respiro orchestrale del finale.
Sweetness Follows è perfezione, con il cupo suono del violoncello che detta il ritmo di un pezzo dedicato alla morte dei genitori, featuring un Michael Stipe che - ce ne fosse ancora bisogno - dimostra la sua stoffa di interprete in modo egregio.
La malinconia è il leitmotiv della successiva Monty Got a Raw Deal: la figura di Montgomery Clift, magnifico e tormentato attore morto troppo presto, viene qui celebrata con rispetto e passione. La carica di Ignoreland, una tirata lucidissima e feroce contro il duo Bush-Reagan che nell'ultimo tour gli R.E.M. hanno rispolverato con impressionante attualità, è seguita da Star Me Kitten, magica e sensuale, e da un tris d'assi che ha pochi eguali nella storia della musica pop.
Apre la mano Man on the Moon, anche questo un omaggio a un artista prematuramente scomparso ma poco conosciuto fuori dagli Stati Uniti: Andy Kaufman. Personaggio di folle bizzarria e probabilmente all'avanguardia per i suoi tempi, Kaufman morì nel 1984 a solì 35 anni. Tale fu il successo di questo brano che, nel 1999, il regista Milos Forman realizzò un biopic su questo personaggio, interpretato da Jim Carrey e Courtney Love, il cui titolo era proprio Man on the Moon e la cui colonna sonora era interamente firmata dagli R.E.M. Il brano è tuttora il pezzo di chiusura di ogni loro concerto.
La seguente, Nightswimming, è una gemma rara: il pianoforte di Mike Mills, struggente, costruisce un giro armonico che s'intreccia a un testo sui ricordi della gioventù, ricordando che nuotare di notte merita una notte tranquilla.
Gran finale con Find the river, la mia canzone. Se l'atmosfera malinconica si fa a tratti insostenibile, il testo è a mio avviso il migliore che gli R.E.M. abbiano mai scritto: poesia sulla ricerca di se stessi, sull'importanza di essere, o di diventare, ciò che realmente si è, cercando la propria strada lungo il fiume, lentamente, lontani dalla città e dalle sue malìe fallaci.
Malinconico ma mai deprimente, l'album ebbe un successo strepitoso nonostante la contemporanea esplosione del grunge, ed è tuttora fonte di ispirazione per musicisti come Pearl Jam, U2, Bruce Springsteen.
Ascoltato oggi, emoziona dall'inizio alla fine e rimane a lungo nelle orecchie e nella memoria di chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo.