Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

venerdì 28 giugno 2013

#184. music saves. episodio 10. R.E.M. or tunes for the saddest winter of my life


capita di vivere senza realmente vivere. di assolvere a tutte le funzioni primarie (respirare, mangiare, bere, dormire) ma di allontanarsi progressivamente da tutto ciò che ci rende umani: ridere, arrabbiarsi, gioire, disperarsi, amare. la vita diventa come il mare in un giorno senza vento, e ci scivola addosso, rotolando per inerzia.
il primo anno di università fu per me proprio questo: un angosciante anno di non vita, un buco nero di ricordi, qualcosa che forse non è capitato realmente, o forse sì, tanto era uguale.
non so come, ma la fine del travagliato periodo del liceo mi lasciò in assoluta balia di me stessa: non c'era più alcun alibi, nessun lupo cattivo a cui dare la colpa. 
mi iscrissi alla facoltà di lingue forte di una scelta presa fin da quando avevo 14 anni. però, nel profondo di me stessa, non c'era più quella sicurezza, quell'assoluta convinzione. l'ombra del dubbio iniziava ad allungarsi su di me ma io la ignoravo, impaurita dalle possibili conseguenze.
ero rimasta quasi sola. e più rimanevo sola, più mi ritraevo sconfitta nel mio guscio.
e, musicalmente parlando, ero più confusa che mai. 

l'anno precedente era stato sereno, e come in tutti gli anni sereni della mia vita avevo lasciato che la musica rimanesse sullo sfondo, che non mi impegnasse troppo: avevo altro da fare.
in realtà tutto questo, come già accaduto in precedenza, non era altro che il presupposto di un ripiegamento che mi avrebbe portato a ritrarmi in un altro guscio, fatto di suoni.
nell'ottobre del 1998, infatti, uscì il primo singolo degli R.E.M. come trio: Daysleeper. un brano splendido, malinconico, notturno. amavo già da tempo gli R.E.M. ma stavolta fu diverso. era come se quel loro perdere un pezzo, diventare improvvisamente un trio, mi ricordasse di tutti i pezzi che mi ero lasciata alle spalle: le compagne di classe con cui avevo perso i contatti, la casa piccola e mai amata da cui avevo appena traslocato, le mie giornate da liceale, così organizzate e prevedibili e rassicuranti. non c'erano più mostri da sconfiggere, eppure anche questo mi mancava.
e allora, come si ripensa da capo una vita così regolare, anche nelle sue brutture? 
come si continua a essere una grande band anche se l'amico di una vita ha deciso di tirarsi fuori?
si fa uscire un disco come Up.
tuttora ho delle difficoltà nel giudicarlo. bello? brutto? non saprei. sicuramente era l'unico disco possibile in quel momento per gli R.E.M. 
cercano di sostituire Bill, il batterista, nel modo migliore che credono: con dei turnisti o con le drum machine. è qualcosa di nuovo, di imperfetto, ma sono ancora loro, ed è un modo per dire siamo ancora qui.
ecco come nasce l'amore per degli artisti. quando da semplice intrattenimento diventano chiave per capire la tua vita.
divenni monomaniacale. spendevo tutti i miei pochi risparmi nel recuperare la loro ricca discografia. imparai tutte le loro canzoni a memoria. 
passai l'inverno più triste della mia vita e la loro musica mi fu unica, preziosissima compagna.
e, ancora una volta, fu la musica a salvarmi. e ad aiutarmi a resistere, a superare anche quel momento. 
così venne la primavera.
decisi che quell'amore per gli R.E.M. poteva servirmi a qualcosa, poteva essermi d'esempio.
ripartirò anch'io, lascerò molte cose alle spalle, uscirò dalla mia comfort zone. zoppicherò ma saprò ancora camminare, come ancora sa camminare un cane senza una zampa (semicit.).
presi carta e penna e scrissi una lunga lettera a una mia compagna di liceo, una di quelle che con più dispiacere avevo perso di vista.
mi ricontattò.
cominciai a uscire con alcune compagne di università.
d'estate andai a vedere gli R.E.M. a Bologna con mio padre, in una caldissima giornata di luglio.
ricominciai a vivere.

lunedì 17 giugno 2013

#183. be inspired: Jessie Ware. Devotion

 
Voglio tornare a parlare di musica con una certa sistematicità, e mi piace l'idea di farlo dedicando questo comeback post a un'artista scoperta pochi mesi fa, ma già entrata a pieno titolo tra i miei artisti favoriti.
Infatti, in un panorama musicale schizofrenico finalmente normalizzato dal bombastico exploit di Adele, dopo anni di porno pop femminile di poca sostanza artistica, l'arrivo di una artista come Jessie Ware, britannica anche lei ma di poco più vecchia, conforta e incoraggia. Diversa pur in una continuità di gusto soul declinato con classe e personalità, Jessie ha infatti carisma e voce più discreti ma non per questo meno affascinanti. 

I paragoni con Sade si sono sprecati, riferendosi sia a un impianto musicale elegantissimo, sensuale e soul, sia a quell'immagine da cocktail bar anni Ottanta che rese iconica la cantante anglo-nigeriana: capelli nerissimi tirati indietro, femminilità discreta, magari un Martini in mano e il partner reduce da un business meeting. 

In realtà, non è solo Sade il paragone che è stato scomodato: si cita infatti la Whitney Houston più raffinata, la ballabilità e lo spirito frizzante e malizioso di Lisa Stansfield così come l'Eighties soul alla Marvin Gaye. 

Partendo da questi presupposti, Jessie riesce comunque a far emergere le sue grandi doti interpretative e a rimanere ancorata alla modernità strizzando l'occhio a generi come il dubstep e il dream-pop e in qualche modo nobilitandoli e privandoli di quella patina di banalità tipica delle mode del momento. 
Date queste premesse, è facile comprendere perché il debutto di Jessie Ware, l'album Devotion, abbia raccolto giudizi entusiastici ovunque. 

Giunta quasi per caso a incidere la parte vocale per un brano di SBTRKT, progetto musicale del DJ e producer Aaron Jerome, si fa notare per la voce potente e la sicurezza dell'interpretazione. Detto, fatto: contratto con una major, strategia di marketing ben congegnata, styling rigoroso e riconoscibile, gran team di autori e producers. 
 Il risultato: un disco compatto e coerente, dotato di fortissima personalità, un debutto già sorprendentemente maturo. E così troviamo il pop/soul un po' Whitney un po' Sade di Sweet Talk e Running ma anche il dubstep di 110%, una canzone minimale e leggera che sembra fatta di aria. 
C'è la grande ballata pop di Wildest Moments che paga magnificamente pegno a Florence + the Machine (non a caso: l'autore è lo stesso) e il conturbante tono dark di Swan Song. C'è il modernissimo gospel dark di Taking In Water, commovente e intensa, e i ritmi hip hop di No To Love
Tutto è al posto giusto, le chiavi di lettura sono l'eleganza, la misura e la riconoscibilità, e colpisce soprattutto la cura del dettaglio ravvisabile in ogni aspetto di questo progetto, dalle canzoni all'artwork, ai video, allo styling. Non farà i numeri roboanti di Adele perché rivolta a un target più ristretto, ma la sorprendente maturità di Jessie Ware promette di renderla un personaggio musicale di assoluto rispetto capace di ripulire ulteriormente l'immagine del pop femminile, troppo maltrattata da strategie di vendita rivelatesi poi suicide.