Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

lunedì 20 dicembre 2010

Occasione di festa numero 52.

Mi è sempre piaciuto fare fotografie, anche in tempi non sospetti. La mia prima macchina fotografica è stata una Yashica, ovviamente non digitale, che mio padre mi regalò durante l'adolescenza. Ogni foto aveva un peso specifico molto più significativo di oggi: si fotografava senza sapere subito il risultato, che poteva essere la foto della vita o un obbrobrio indecente. 
Noemi
Le foto erano poche, quindi si cercava di non sprecare l'occasione, e l'emozione di ritirarle stampate dal fotografo era pari al momento dell'apertura dei regali il giorno di Natale. Qualche anno più tardi le macchinette digitali hanno democratizzato il gesto, permettendo di verificare in tempo reale la buona riuscita della foto ma anche di realizzare migliaia e migliaia di scatti senza spendere una fortuna. La complicità indiscussa, negli ultimi periodi, dei social network, autentici contenitori di esibizionismo non solo visivo, ha decretato il trionfo popolare di questo moderno modo di fotografare, asservito alla necessità di testimoniare tutto e subito della propria vita di fronte a migliaia di persone. 
Dario
Al contempo, però, si è riscontrato un ritorno all'artisticità del gesto fotografico da parte di un plotoncino agguerrito di romantici che non solo si sono affezionati agli attuali modelli Reflex digitali, sentiti come più "professionali", ma che addirittura sono tornati alla pellicola e alla camera oscura, supporti e tecniche della fotografia analogica tradizionale. Per quanto mi riguarda, con la diffusione globale della fotografia digitale mi sono completamente disamorata del fare foto, forte della mia convinzione che una cosa, moltiplicata per milioni, non vale più nulla. 
Manuela
Ironia della sorte: ho smesso io e ha attaccato Giordano, mostruosamente appassionatosi alla fotografia tanto da regalarsi una Canon EOS 450D. Roma e Parigi, sotto il suo obiettivo, risplendevano di magia, i risultati erano davvero lusinghieri. Ho iniziato a guardare il mostro dapprima con diffidenza, poi con gratitudine per i bellissimi primi piani di cui mi omaggiava, e infine ho capitolato senza dignità tanto che, nell'ultimo anno, non una sola volta sono riuscita a strappare la creatura dalle manone protettive di Giordano.
Giordano

Così cosa ho scoperto? Che me la cavo con i ritratti. E devo essere sincera: tra i soggetti fotografici, i ritratti sono in assoluto i miei preferiti, non solo perché mi riescono bene, ma perché, nel concreto, non sono tanto diversi dai post del mio blogghino e dalle mie mille occasioni di festa. I ritratti sono racconti di storie senza parole. E per me, che amo usare le parole, scritte soprattutto, più di ogni altra cosa, è una sfida interessante, è un invito a raggiungere lo stesso risultato ma servendomi di uno strumento diverso.
Manuela, Giuseppe, Giordano, Sonia
Concretamente accade che prendiamo un essere umano, ne cogliamo le emozioni, i gesti, le ombre, l'atteggiamento, e da ciò che vediamo cerchiamo di "far parlare" l'immagine, lasciare che sia lei a dirci chi è quella persona, da dove viene, dove sta andando, cosa prova. Le immagini sono uno strumento di narrazione e di trasmissione delle emozioni, come le parole, e forse più delle stesse parole perché immediatamente efficaci, e ci permettono di rielaborare la realtà per come la vediamo, fornendone una nostra personale interpretazione.
Silvia
Con questa lunga introduzione vorrei prendere con voi un piccolo, piacevole impegno. Periodicamente, parlerò dei grandi fotografi contemporanei, da Steve McCurry a Gabriele Basilico, da Jodi Cobb a Erwin Olaf, da Malick Sidibé a Gregory Crewdson, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente. Il fil rouge sarà solamente il mio gusto personale.
Perché anche la fotografia è una bellissima occasione di festa e una significativa manifestazione artistica, dunque perché non celebrarla?
Fuor di modestia, nel frattempo godetevi qualche mio ritratto. Sono quelli che vedete qui, a inframmezzare le mie tante parole. Per ora si tratta di persone a me molto care, in futuro chissà... 
In attesa di raccontarvi dei grandi maestri, da qualche parte dovevo pur cominciare... 
Sara Giorgia... Io.
Ps mi raccomando il copyright.

venerdì 17 dicembre 2010

Occasione di festa numero 51.

Caro Babbo Natale,

di quest'anno, in fin dei conti, non posso lamentarmi troppo. La nostra nuova casetta è fantastica e soprattutto è nostra. Stiamo bene. Abbiamo passato una magica settimana alle isole Eolie, che conserviamo gelosamente per i momenti di malinconia. Ho visto dei bellissimi concerti (Carmen Consoli, U2, Samuele Bersani), ho ascoltato tanta musica, come ai bei tempi. Ho conosciuto molte persone nuove. Ma soprattutto ho ricominciato a leggere e ho capito un sacco di cose su me stessa che nemmeno lontanamente immaginavo. 
Negli ultimi mesi le cose non vanno molto bene, ma l'esperienza mi insegna a non mollare, a pensare che non sono sola, che sono parte di tutto ciò che c'è, che tutto passa, anche il dolore.
Voglio continuare a dedicarmi a questo blogghino con amore e dedizione, vedere dalla finestra ogni giorno alberi e montagne, bambini e cani che giocano al parco, continuare a essere una persona fondamentalmente buona, più onesta della media, e resistere nonostante tutto imponga di essere diversa per stare a galla in questo mondo, continuare a cucinare dolcini buoni e a curare le piante.
Però qualche desiderio ce l'ho, e, come tutti i bambini buoni del mondo, rivendico il diritto alla mia personale wishlist. In realtà sono due, una difficile e una facile. Mi affido al tuo buon cuore lappone.

Wishlist difficile

1) Vorrei trovare un nuovo lavoro. Un lavoro dignitoso ma che mi piaccia. Non voglio arricchirmi, vorrei esprimermi per ciò che sono e so fare, in modo onesto, e avere a che fare con persone oneste. Lo so cosa pensi, che questo desiderio è già molto impegnativo. Io ci metto del mio, tu del tuo e chiedi a San Culo se può partecipare pure lui.
2) Vorrei che succedesse qualcosa di molto bello, di bellissimo. A me, proprio a me. Sono molti anni che non succede. E quel desiderio lì, in particolare, quello che non ho nemmeno il coraggio di rivelare, ma che tu sai, ti prego dammi una manina a realizzarlo.
3) Vorrei fare un bel viaggio lontano da qui. Australia, Africa, India. Decidi tu.
4) Vorrei sconfiggere la bestia. Farla uscire dalla mia vita per sempre, o almeno per un bel po'. Piangere molto meno. Non sentire il suo toc toc e il suo fiato sul collo, le mani legate, le gambe che tremano. Guardarla in faccia mentre la caccio via a pedate nel culo.
5) Vorrei imparare a stare bene con gli altri, a sentirmi a mio agio, a far sentire loro ciò che ho dentro e che non riesco mai a far trasparire. Magari il blogghino può aiutare, ma solo per un 10%. Io contribuisco con l'85%, la tua incidenza calcolatela da solo.
6) Vorrei che ricominciare da capo fosse sempre più facile, che ogni sfida fosse un'opportunità.
7) Vorrei un Paese di cui andare fiera, che non prende la sua Storia e la calpesta, che ci fa desiderare di rimanere per renderlo sempre migliore ed esemplare agli occhi del mondo. Un Paese che abbia dignità e buona memoria.
8) Vorrei realizzare un mio progettino personale, ma non chiedermi di rivelare altro perché ho paura che porti male.
9) Vorrei superare alcune delle mie paure, una alla volta e senza fretta, ed essere sempre più autonoma, in tutti i sensi che la tua scatenata fantasia può immaginare.
10) Vorrei vedere serene e in salute tutte, ma proprio tutte, le persone che amo, e vedere che quella rivoluzione interiore di cui parlava Tiziano Terzani piano piano attecchisca negli animi di ogni persona che abita questa Terra disgraziata.

Ti immagino già disperato, caro vecchio Babbino. Ti sto mettendo alla prova, lo so. Ma, siccome sono buona, e vedi di ricordartene al momento giusto, ho una seconda wishlist da sottoporre alla tua attenzione. I desideri sono un po' più abbordabili, così tu sarai facilitato a fare bella figura.

Wishlist facile

1) Vorrei un animale domestico. Un gattino, o, se proprio non è possibile, un porcellino d'India.
2) Vorrei finire di arredare la casetta, soprattutto levare quelle lampadine penzolanti che urlano vendetta al buon gusto da ben otto mesi (No, dico: otto!).
3) Vorrei tornare a fare yoga e perdere quei chili che così impietosamente si sono depositati nei punti più inadeguati del mio corpo.
4) Vorrei ricominciare a guidare.
5) Vorrei potermi permettere, almeno quest'anno, di togliermi qualche piccolo sfizio: una bella borsa, un vestitino, qualche accessorio qua e là, avere i capelli un po' più sistemati, le cremine e i trucchi giusti, perché il mio animo glamourama è un po' deperito ultimamente.
6) Vorrei vedere un sacco di bei film e ascoltare tutta la musica bella che uscirà dal primo gennaio all'ultimo di dicembre 2011, non perdermi neanche un disco, ma che dico, una canzone.
7) Vorrei leggere l'ultimo libro di Aldo Nove, tutti i libri di Mario Rigoni Stern, i testi del Dalai Lama, di Thich Nhat Hahn e riprendere Calvino, Dostoevskij, Tolstoj.
8) Vorrei imparare ad attaccare un bottone e fare l'orlo ai pantaloni.
9) Vorrei piantare dei semi e vedere cosa succede.
10) Vorrei imparare a cucinare il ragù come lo fa mia mamma, sfornare dei biscottini decorati e riuscire a preparare anche solo il 5% delle ricette del libro di Eataly che mi ha regalato Giordano (1000 ricette, 5%... occazzo!!!).

Su, hai preso nota? Io ci ho messo un po' a scriverti queste due wishlist. In fondo so che a te non servono poi molto, ti basta guardare nel profondo di ognuno di noi perché, come diceva nonricordopiuchi, "i sogni son desideri... chiusi in fondo al cuor". Ma forse parlavo più a me stessa che a te, come mio solito. Scusami.

Buon Natale a tutti. Anche a te, Babbino, che lavori mentre gli altri si divertono. Almeno il contratto in regola ce l'hai?

lunedì 13 dicembre 2010

Occasione di festa numero 50.


Il re che doveva morire

Una volta un re doveva morire. Era un re assai potente, ma era malato a morte e si disperava: - Possibile che un re tanto potente debba morire? Che fanno i miei maghi? Perché non mi salvano?
Ma i maghi erano scappati per paura di perdere la testa. Ne era rimasto uno solo, un vecchio mago a cui nessuno dava retta, perché era piuttosto bislacco e forse anche un po' matto. Da molti anni il re non lo consultava, ma stavolta lo mandò a chiamare.
- Puoi salvarti, - disse il mago, - ma ad un patto: che tu ceda per un giorno il tuo trono all'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri. Lui, poi, morirà al tuo posto.
Subito venne fatto un bando in tutto il reame: - Coloro che somigliano al re si presentino a Corte entro ventiquattr'ore, pena la vita.
Se ne presentarono molti: alcuni avevano la barba uguale a quella del re, ma avevano il naso un tantino più lungo o più corto, e il mago li scartava; altri somigliavano al re come un'arancia somiglia a un'altra nella cassetta del fruttivendolo, ma il mago li scartava perché gli mancava un dente, o perché avevano un neo sulla schiena.
- Ma tu li scarti tutti, - protestava il re col suo mago. - Lasciami provare con uno di loro, per cominciare.
- Non ti servirà a niente, - ribatteva il mago.
Una sera il re e il suo mago passeggiavano sui bastioni della città, e a un tratto il mago gridò: - Ecco, ecco l'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri!
E così dicendo indicava un mendicante storpio, gobbo, mezzo cieco, sporco e pieno di croste.
- Ma com'è possibile, - protestò il re, - tra noi due c'è un abisso.
- Un re che deve morire, - insisteva il mago, - somiglia soltanto al più povero, al più disgraziato della città. Presto, cambia i tuoi vestiti con i suoi per un giorno, mettilo sul trono e sarai salvo.
Ma il re non volle assolutamente ammettere di assomigliare al mendicante. Tornò al palazzo tutto imbronciato e quella sera stessa morì, con la corona in testa e lo scettro in pugno.

Gianni Rodari, Favole al Telefono. Einaudi, 1962.

NB: l'illustrazione, veramente bellissima, l'ho reperita su questo blog: http://illustratissima-marilisa.blogspot.com/. Grazie fin d'ora alla sua autrice, Marilisa D'Angiò.

venerdì 10 dicembre 2010

Occasione di festa numero 49.


... e di nuovo arriva lei, bussando insistentemente alla porta. Non voglio farla entrare, resisto con tutta la forza che ho. E volete sapere cosa faccio in questi casi? Ve lo racconto.
Lei si chiama depressione. E io mi chiamo Sara, e da lei ho imparato un sacco di cose. E, quando sento il suo toc toc, e mi sento l'ultima formichina sulla Terra, calpestabile e insignificante, penso invece a quante lezioni mi ha insegnato, a come lentamente mi stia trasformando in un elefantino da guerra.
La prima cosa, per esempio, è che la crescita si conquista solo attraversando il dolore. E siccome è la più grande lezione che si possa imparare dalla vita, chapeau.
La seconda cosa è che, più lei insiste, più mi fa scoprire che "c'è tutto un mondo intorno". E' incredibile la curiosità, prima del tutto sopita, che ho nel sentire pienamente le emozioni, che ho nell'imparare cose nuove, che ho nel ricostruirmi pezzo per pezzo, tassellino dopo tassellino, che ho nel guardare al mondo, alla vita, alle persone. Questo vedermi rinascere, insomma, è la seconda grande lezione.
La terza grande lezione è l'imparare a conoscere se stessi. Non che sia cosa fatta e finita (penso non basti una vita intera), però prima non mi era mai capitato di guardarmi dentro con tanta lucidità. Avevo un'idea di me stessa completamente fuori asse: troppo indulgente in certi casi, cieca in altri, intollerante all'eccesso in altri ancora. Lei, la depressione, mi ha costretto a prendere uno specchio e guardarmi, nella brutale realtà del suo riflesso, e questa immagine così imperfetta mi ha fatto sentire meno sola perché in tanti altri e non in me, prima, vedevo i limiti con tanta lucidità. La comprensione di questa realtà è un passo fondamentale per capire gli altri e stare meglio con loro, con dolcezza e senza ipocrisie. E anche per vedere che in quello specchio è riflesso qualcosa di molto bello.
Quarta grande lezione è l'acquisire, in conseguenza alla terza lezione di cui sopra, una consapevolezza di sé in grado di farci capire cosa ci piace e cosa no, cosa ci fa stare bene e cosa no. I rami secchi, i rapporti tossici, le cattive abitudini: cause rilevanti della nostra sofferenza (anche se non le sole) al punto che, una volta individuate, farne piazza pulita sarà un dovere morale, qualcosa cioè che dobbiamo a noi stessi.
Quinta grande lezione: nulla dura per sempre. Tutto ha una fine. Quindi, anche il dolore. Spesso attendere che passi è la soluzione più saggia.
Sesta grande lezione: lasciarsi andare. Sbagliare. Sporcarsi. A tutto c'è rimedio, quasi a tutto. Preoccuparsi o non preoccuparsi talvolta fa poca differenza.
Guardare nel buco nero della sofferenza psicologica ci insegna l'esperienza del dolore, e ci insegna che si può sopravvivere. Ci insegna a non cercare palliativi, a essere onesti con noi stessi e con gli altri, ci insegna a godere delle cose del mondo. Ci disciplina, ci fa rallentare, ci insegna a non scappare. Ma soprattutto ci dice che la vita è esattamente questo, senza sconti e allo stesso tempo ricca di mille occasioni di festa.

Ps: forse è un post ripetitivo, ma serve soprattutto a me per ricordarmi chi sono, che strada ho percorso, per quale sentiero continuo a camminare. E per darmi coraggio quando mettere i piedini uno davanti all'altro sembra la cosa più difficile del mondo.


"Io somiglio a un elefante da guerra:

per quanto lo si colpisca con frecce,

esso tutto sopporta.

Così io sopporto le aspre parole

di ogni essere.

Se uno mi spezza un braccio,

la mia mente è sempre uguale,

ben disposta nei suoi confronti.

Se uno proclama grandemente

le mie virtù o un altro

i miei svariati difetti,

quelle lodi o quelle calunnie

non mutano i miei sensi.

La mia mente

è così poco contaminata

dalle offese o dalle lodi,

quanto lo è l'acqua

in uno stagno di fiori di loto" 

(Il Buddha)

mercoledì 8 dicembre 2010

Occasione di festa numero 48.

Natale, una delle più grandi occasioni di festa. Direi la Festa per eccellenza. Ogni anno rinnova il suo incantesimo, eppure ogni volta è come se fosse la prima. Le vacanze estive sono appena terminate e loro, gli ultrà del Natale, calendario alla mano, iniziano il loro conto alla rovescia, tenendo d'occhio ogni minima possibilità di ponte che possa accorciare e addolcire la lunga attesa, pensando agli addobbi per la Festa già a metà ottobre. Abbiamo un bel dire che il momento presente, che carpe diem, che vivi adesso e non pensare al futuro e blablabla... Tutti pensieri onorevolissimi che, fin dai primi di novembre, per la sottoscritta vanno a farsi bellamente benedire. 
Il profumo nell'aria cambia: è più aspro, appuntito. Gli alberi si spogliano del tutto. Le mattine sono gelide e bianche. Le giornate si accorciano. 
Eppure sembra quasi che questa Festa sia un modo dolcissimo per farci sopportare i piccoli e grandi disagi dell'inverno (che poi a molti piacciono, de gustibus), per far passare il tempo più in fretta.
Il Natale è il sabato del villaggio moltiplicato mille. E' l'attesa spasmodica delle cose belle, di un futuro che si immagina infallibilmente dorato e ricco di meravigliose sorprese. E' la riscoperta dei valori positivi, della bellezza, dei legami, delle cose importanti.
Purtroppo, tali e tante sono queste implicazioni che è facile usarle contro di noi. La follia consumistica del Natale fa leva proprio su questi sentimenti sani per spingerci al superfluo e, paradossalmente, all'allontanamento da quegli stessi valori che ne sono alla base. Il momento dell'anno più puro e carico di significati viene sverginato, umiliato, massacrato dalla nevrosi e dallo stress, dal ricorso improprio al portafoglio, dallo sperpero delle tredicesime, dal martellamento mediatico di spot farciti di un'iconografia natalizia fasulla e melensa. 
E' necessario fermarsi un attimo per capirlo, ma è possibile.
Non dico che la soluzione sia chiudersi in casa, in eremitaggio, radio e televisione spente, amici e parenti vade retro.
Però vi dico come faccio io, che secondo me è una buona quadratura del cerchio.
Fin dalla fine di ottobre riempiono i supermercati di addobbi natalizi? Rallegratevene, che esteticamente è tanto carino, ma resistete. Se proprio non ce la fate, sfogatevi acquistando una, massimo due boules de neige di dimensioni microscopiche (ogni riferimento).
La pubblicità natalizia invade il nostro mondo fin dalla metà di novembre? Ignoratela, eventualmente aiutandovi col tasto "mute" del telecomando o con le due mani sopra gli occhi (mai mentre guidate).
Le vetrine dei negozi più svariati occhieggiano dalla fine di novembre promettendo meraviglie e felicità a portata di mano? Non ci cascate. La felicità è un'altra cosa. Anche se tocca ammetterlo: le vetrine addobbate migliorano il decoro architettonico soprattutto delle città più grigie, trasformano i luoghi consueti in sbrilluccicanti pacchi regalo di dimensioni gigantesche. La bellezza non è mai sbagliata. Esageruma nen*, però (momento di personale understatement sabaudo).
Questo imperativo morale del resistere, resistere, resistere, deve essere accompagnato da un atteggiamento lucido e allo stesso tempo accorato. 
Ovvero: il Natale è un'occasione di Festa fantastica, e non dobbiamo sprecarla.
Circondiamoci di cose belle e soprattutto di pensieri belli, addobbiamo la nostra Casetta rendendola ancora più accogliente e ospitale, scaldiamoci il cuore con la semplice compagnia delle persone che amiamo, cuciniamo per loro, dedichiamoci ai regali pensando a ciò che realmente potrebbe piacere all'altra persona, curiamone noi il biglietto e il pacchettino, fermiamo per un attimo il tempo e smettiamo di pensare alle ottantamila incombenze della nostra vita quotidiana. Chiudiamo gli occhi e pensiamo a ciò che davvero conta.
Non mi soffermo sulle preziose implicazioni religiose, vero fondamento di questa occasione, perché non così brava da riuscire a parlarne, ma, come spesso amo dire, è da qui che dobbiamo ripartire. 
Non dimentichiamo mai che si tratta di un momento di raccoglimento e di celebrazione degli affetti familiari. Poi tutto il contorno, per quanto piacevolissimo, resta e deve restare una semplice conseguenza.

* Non esageriamo

venerdì 3 dicembre 2010

Occasione di festa numero 47.

Qualche sera fa, verso le nove, a Torino la debole nevicata iniziata nel tardo pomeriggio si è trasformata per mezz'ora nella "nevicata del secolo".

Fiocchi grandi come palline da golf, fitti e quasi violenti, alberi ricamati e dolcemente piegati sotto il peso del manto sempre più spesso, strade e automobili e tetti e prati e lampioni coperti da una coltre bianca abbagliante e morbida.
Ogni occasione era buona, nonostante stessi preparando la cena, per uscire sul balcone e fermarmi a osservare quello spettacolo incredibile. Non passavano automobili, il silenzio era insolito, l'aria immacolata. 
Tutto era vergine, perfetto.
E questa neve così autoritaria mi è sembrata dire: non temete, ci penso io. Laverò via tutto, ripristinerò l'equilibrio perduto, pulirò quest'aria sporca. Sono il mezzo che la natura sta usando in questo momento per dirvi che nulla è perduto, che il momento è terribile, durissimo, ma che io sono l'unica realtà importante, quella a cui tutti apparteniamo.
Poi è successo che, verso le dieci, una famigliola di mamma, papà, bimbo di quattro/cinque anni e cagnolino sono scesi al parco sotto casa, imbacuccati fino alla punta dei capelli, e hanno iniziato a giocare, a ridere, a farsi le foto. Nel silenzio irreale le loro voci ovattate sono sembrate una campana di consapevolezza, un richiamo verso la felicità, e io ho pensato che quel bambino la serata di mercoledì la ricorderà per tutta la vita.