Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

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giovedì 1 novembre 2012

#177. music saves. episodio 8. 18 anni: bittersweet music for the dancefloor

ovvero: materiale per ricattarmi se non mi volete bene o ogniqualvolta non siate d'accordo con le mie recensioni a ca**o


Il quarto anno di liceo fu, nuovamente, interlocutorio. Come sempre è stato: grandi entusiasmi seguiti da grandi chiusure. Si chiama mancanza di autostima, paura del confronto, timidezza. Fai un passo compiendo sforzi inimmaginabili per i cosiddetti "estroversi", poi ti sembra di esagerare e corri dalle tue vecchie certezze. Quell'anno, però, fu diverso: per la prima volta mi confrontai dolorosamente con i miei lati più bui. Capii che il giocattolo poteva incepparsi, e che il mio controllo sulle cose era limitato. 
Non fu un anno memorabile, anzi: si contavano le prime uscite serali "regolari", con un gruppetto di compagni di classe e conoscenze varie che aveva preso l'abitudine di vedersi il sabato sera. 
I soliti amici, la consueta sensazione di essere sola in mezzo agli altri e di non essere mai me stessa. Mi adattavo agli altri perché mi sentivo miracolosamente tollerata: non mi sembrava vero di meritare tanta attenzione e, pur di non perderla, mettevo a tacere le mie necessità e aspirazioni. Perché?
Fu un anno problematico anche coi professori: le materie scientifiche erano diventate un piccolo dramma. Il professore di matematica, poi, mi prese di mira perché non si capacitava dell'abisso tra i suoi voti e quelli delle altre materie. Fino alla fine del liceo quell'omuncolo è stato la mia croce: mi teneva anche due ore alla lavagna, spiegava dandomi le spalle, e non erano infrequenti gli scambi di vedute tra me e lui. Un pedagogo coi fiocchi, insomma.
A parte questo, ricordo molto poco di quei nove mesi. E' come se una patina opaca si fosse posata su un periodo che non meritava nemmeno di essere ricordato. Anche per la musica fu un periodo transitorio, poco emotivo, cerebrale direi. Ricordo che mi avvicinai affascinata a una nuova moda musicale che stava prendendo piede - ancora una volta - dall'Inghilterra: l'elettronica anni Novanta del breakbeat e del drum'n'bass. 
I Chemical Brothers erano i miei preferiti in assoluto, ma ero anche un'affezionata ascoltatrice di una trasmissione radiofonica di Radio Deejay, B Side (l'avete mai sentita?), che alla sera tardi compieva un'interessante operazione di divulgazione della musica da ballo intelligente. Grazie a questo programma scoprii uno dei capisaldi della mia discografia, l'album di DJ Shadow Endtroducing: se non l'avete mai ascoltato, rimediate! Costruire un intero album assemblando semplicemente campionamenti di una immensa discografia era qualcosa di epocale, e la resa finale, così suggestiva e cinematica, era perfetta. A timeless classic
Era anche l'anno di un bellissimo album dei Suede, Coming Up, e dei sorprendenti Kula Shaker con (da recuperare assolutamente), dell'esplosione di una band come gli Skunk Anansie (Hedonism penso sia una delle canzoni che più richiama il periodo dei diciotto anni, per chi ha la mia età) e di quell'album meraviglioso, un altro dei miei preferiti di sempre, che è Woman di Neneh Cherry. Il pop radiofonico era preso dall'idiozia totale di Barbie Girl degli Aqua e, in Italia, da Bella di Jovanotti. E poi era l'anno del fenomeno cinematografico Trainspotting, un film dalla colonna sonora memorabile (Born SlippyLust for Life... do you remember?) e, soprattutto, di uno di quei miracoli della musica pop che si verificano ciclicamente, in cui qualità e popolarità magicamente si incontrano: Around the world dei Daft Punk fu uno dei veri tormentoni del 1997, e trascinò con sé strameritatamente l'album Homework in vetta alle classifiche, su tutte le piste da ballo e negli stereo di tutti i gggiovani dell'epoca.
Io, il mio walkman e le mie cuffiette avevamo insomma di che divertirci. La primavera portò con sé le prime feste dei diciotto anni (anche la mia, che fu insospettabilmente bellissima), i sabati sera al mitico Barrumba - uno dei monumenti della nightlife torinese della seconda metà degli anni Novanta -, la mia prima gita scolastica lunga, a Firenze e Siena, che fu faticosa, triste, e mi fece aprire gli occhi su molte persone. 
Portò con sé anche un furioso litigio con la mia amica R., a cui volevo un grande bene, portò rivalità femminili spietate all'interno della mia classe, portò incomprensione in famiglia e lunghi silenzi e, soprattutto, portò per la prima volta nella mia vita lo spettro dell'ansia e della depressione. 
Volevo chiedere aiuto, ma non sapevo come. Non riuscivo a farmi capire, o forse non mi capivano gli altri. Non lo so, e forse non lo voglio neanche sapere. Quando si sta male si vorrebbe soltanto stare bene, e si vorrebbe che il passo di comprendere lo facessero gli altri, che siano gli altri a mettere da parte le loro esigenze.
Per la prima volta nella mia vita scoprivo che si poteva anche non farcela. Che la nostra psiche ha dei limiti che non dobbiamo oltrepassare. 
Che, una volta oltrepassati quei limiti, non c'è più nulla, c'è il vuoto, la paura, l'abisso dell'inconsapevolezza. I nervi cedono, e non sai spiegartelo. Pensi che accada solo agli altri, che tu sei forte e, all'improvviso, succede anche a te. Ero troppo giovane per andare a fondo, e capire. Doveva passare ancora una decina d'anni per compiere quel passo decisivo. 
Superai quel momento, e andai avanti. Ma, talvolta, andare avanti non è la soluzione più intelligente.

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