Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

venerdì 25 marzo 2011

Occasione di festa numero 76.

Il pianoforte che apre We used to wait a casa mia ormai fa più paura dei violini di Psycho. Reiterati e forzati ascolti hanno traumatizzato Giordano, che tra poco ricorrerà alla confezione casalinga di Xanax. Lo so, probabilmente non è la migliore strategia per convincerlo a portarmi a Milano il 5 luglio a vedere gli Arcade Fire, ma è davvero più forte di me: The Suburbs, da qualche mese, insieme a una manciata di altri dischi di cui vi sto pian piano parlando qui sul blogghino, mi ha rubato l'anima e non ha intenzione di restituirmela. Un'occasione di festa musicale grossa così, insomma. 
Photo by Anton Corbijn

Consola il fatto di non essere l'unica a pensarlo, e non mi riferisco solamente al Grammy 2011 ottenuto come miglior album dell'anno. The Suburbs esce infatti nell'agosto del 2010, dopo due fortunatissimi predecessori intitolati Funeral (2004) e Neon Bible (2007). Questi sette simpatici (beh...) ragazzi hanno la mia stessa età, e capite che il fatto di affrontare i grandi temi della morte e della religione quando hai pressappoco 25 anni indica: da una parte una illimitata fiducia nelle tue capacità e una visione organica di quel che sarà il tuo percorso musicale, dall'altra una mancanza assoluta di autoironia. 
allegria
Sia quel che sia, a noi poco importa, perché i risultati sono stati fin da subito straordinari, e per me chi è in grado di scrivere due canzoni come My body is a cage e Intervention può permettersi ciò che vuole. Il problema, se di problema di può trattare, sta proprio qui: l'aver impostato il livello così in alto fin da subito comporta, inevitabilmente, aspettative sempre più alte a ogni nuovo disco. E così infatti è avvenuto, tanto che The Suburbs ha incontrato le reazioni più contrastanti, dalla celebrazione più sbrodolata alla presa totale di distanza.
sorridere si può...!
La simpatica cialtrona che scrive sta nel mezzo: l'album è eccellente, anche se non compatto al punto da paragonarlo a una pietra miliare quale è Automatic for the people dei R.E.M., come è stato fatto altrove. I motivi sono diversi: The Suburbs è infatti eccessivamente lungo (16 canzoni per un'ora abbondante di musica sono davvero troppe) e, purtroppo, qua e là spuntano dei riempitivi che, opportunamente eliminati, avrebbero fatto guadagnare al disco quella linearità e coerenza propria dei capolavori. Probabilmente è anche un problema di esperienza - per quanto maturi e di gran talento, hanno alle spalle solo due album, non sette come i R.E.M. all'epoca - ma ben venga, significa che abbiamo di fronte normalissimi esseri umani. Comunque, per ovviare a questo problemino, ascolto solitamente quelle dieci che mi piacciono follemente, et voilà le chef d'oeuvre
reminiscenze sovietiche
Detto questo, anche qui, come nei due album precedenti, è ravvisabile un macrotema: quello, indicato dal titolo, delle periferie urbane. Rispetto ai temi della morte e della religione parrebbe un passo indietro, o quantomeno un ridimensionamento. In realtà questa scelta permette loro di abbracciare una gamma tematica molto più complessa e varia, nella quale i sobborghi sono in realtà luoghi non solo fisici, concreti, ma anche mentali: non-luoghi artificiali e marginali che li hanno visti nascere e crescere e che, prima vituperati, ora rappresentano quel ritorno al candore e alla consapevolezza che altrove appare impossibile. 
sempre peggio
Tema sintetizzato mirabilmente nell'episodio-chiave dell'album, e primo singolo scelto, il già citato We used to wait: apologia romantica del ritorno alla lentezza, celebrazione di un tempo in cui l'attesa era di per sé l'esperienza - quello delle lettere d'amore, dell'adolescenza, dei desideri inespressi. Un tempo vergine, senza malizie, che oggi ci stupisce per come something so small can keep you alive. Salvo poi ritrovarsi l'uno contro l'altro, le case che crollano, la bellezza che svanisce, una riconciliazione con la periferia negata (vd Suburban War). E' un argomento molto più complesso di quanto appare, ma che gli Arcade Fire maneggiano meglio semplicemente perché ne hanno esperienza diretta, laddove confrontarsi con i temi di Funeral e Neon Bible era invece un azzardo e una spocchiosa sfacciataggine da primi della classe.
ironia saltami addosso
La struttura dell'album è circolare: si apre e si chiude infatti con il solare e inatteso pop della titletrack, ripreso però brevemente nel finale con un approccio più delicato e suggestivo. Al centro uno dei due dittici presenti sull'album, Half Light I e Half Light II (No Celebration): la prima, un pop sinfonico tipicamente Arcade Fire, è una malìa in crescendo dagli echi morriconiani; la seconda sfodera uno speculare e sorprendente approccio sintetico e Eighties, che ritroveremo più avanti. 
Ma immaginiamo che questo album sia perfetto, e stiliamo l'ideale tracklist. Oltre ai brani appena citati, le gemme più preziose sono tanto più splendenti se confrontate con la ridondanza un po' sfilacciata degli altri brani.
uuuuuuuuuuuuu
Ready to start, altro singolo, è energico e vitale, con una buona progressione che lo rende perfetto per le esibizioni live; Rococo è un tormentone ruffiano e ultra snob che dileggia certi vacui e modaioli ventenni di oggi; Empty Room riesce a mantenersi leggera ed eterea nonostante il gran tiro; la già citata Suburban War è l'altro climax, musicale e tematico, dell'album, una storia di bande e perdita dell'innocenza che nel giro di chitarra mi ricorda i migliori R.E.M. di Automatic (again) e si mantiene sinistra e cupa fino al deflagrante finale (And now the music divides us into tribes, You grew your hair so I grew mine, (...) And my old friends, I can remember when you cut your hair, We never saw you again, Now the cities we live in could be distant stars, and I search for you in every passing car). E poi ancora la chiamata alle armi di sapore post punk di Month of May (I know it's heavy I know it ain't light, but how you gonna lift it with your arms folded tight?) e la sorpresa finale, presente nel secondo dittico dell'album, quello di Sprawl I (Flatland) e Sprawl II (Mountains Beyond Mountains). Proprio quest'ultima, intonata dalla voce cristallina di Régine Chassagne, ci introduce nuovamente in territori Eighties, ammiccando questa volta a Blondie e portandoci direttamente sul dancefloor incapaci di tenere il culetto fermo: ve lo aspettavate?
Photo by Anton Corbijn
Non pensiate che si tratti di esperimenti sull'orlo del baratro, la classe e il buon gusto sono evidentemente scritti nel DNA musicale degli Arcade Fire, tuttavia è apprezzabile la volontà di spezzare il prevedibile, alzare provocatoriamente la posta in gioco in chiave pop. Perché, cari amici indie e molto snob, pop non è una malattia, "sopravvivere si può", l'importante è farlo con eleganza. E c'è pure da dire che voialtri siete facili da scontentare: se avessero rilasciato un album come i due precedenti avreste detto "che palle, hanno trovato la formula e visto che funziona adesso la ripetono all'infinito"; provano a smarcarsi dal già detto, e voi dite "ecco, si sono venduti, vogliono diventare come gli U2 e i Coldplay e riempire gli stadi": embè? Preferisco che li riempiano loro piuttosto che Rihanna, o Justin Bieber.
tristezza a palate
Semplicemente gli Arcade Fire, forti di un grande talento, di un sempre più grande consenso e di fan eccellenti come gli U2, Bruce Springsteen, David Bowie, i Coldplay, hanno deciso di ricevere da questi ultimi il testimone di rock band più importante degli anni '10: non è un testimone comodo da portare, anche se li farà diventare molto ricchi, perché inevitabilmente scontenterà tanti fan della prima ora e li metterà in condizione di chiedersi fin dove arrivare per mantenersi integri. 
Ma gli Arcade Fire sono una band generazionale in grado di captare come nessun'altra gli umori di un'epoca bizzarra e cupa, forte di una capacità compositiva di eccellente livello. Sicuramente il miglior esempio a cui ispirarsi sarà proprio quell'Automatic for the people già troppe volte citato, e se sapranno mantenere la stessa lucidità e onestà dei miei cari R.E.M. il percorso sarà quello giusto.
simpatica coppietta

Nessun commento:

Posta un commento