Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

mercoledì 9 marzo 2011

Occasione di festa numero 71.

Malick Sidibé
Ho scoperto Malick Sidibé nel 2007. Facevo il lavoro più bello del mondo, allora. E dovevo preparare tutta una serie di articoli sulla Biennale di Venezia, che sarebbe stata inaugurata in giugno sotto la direzione di Robert Storr. La notizia che aveva sorpreso tutti era stata la decisione, da parte di Storr, di assegnare il Leone d'Oro alla carriera a un fotografo, per di più non particolarmente famoso. Era la prima volta che accadeva. Un fotografo maliano, più che settantenne, che dagli anni Sessanta non aveva fatto altro che ritrarre la gioventù del suo Paese nelle più vitali immagini in bianco e nero che sia dato di ammirare. 
classy
Visitando personalmente la Biennale vidi una selezione di sue fotografie e rimasi incantata dalla loro leggerezza, dalla spontaneità, dalla semplicità ma soprattutto da quell'incredibile gioia di vivere che mai mancava di manifestarsi, in ogni gesto, sorriso, espressione di quei giovani.
Quando Malick iniziò a fotografare, nei primi anni Sessanta, il Mali si era appena affrancato dal colonialismo francese, e ovunque questo ritorno alla vita e alla libertà si poteva respirare, percepire con ogni singolo poro del corpo: un cambiamento epocale, euforico. 

delightful
Avere vent'anni, in quel momento, è una grande opportunità, e Malick non solo ha poco più di vent'anni, ma ha appena aperto a Bamako, la capitale, il suo - ormai leggendario - Studio Malick. Ma non è lo studio il teatro delle sue prime imprese fotografiche, bensì tutto ciò che c'è fuori: le strade di Bamako, i locali dove si balla fino a sfinirsi, le palestre, tutti luoghi dove i suoi coetanei liberano la loro esuberanza e felicità - per essere giovani, per essere liberi - in modo ingenuo, tenero, anche goffo, tentando di assomigliare ai bianchi, vestendosi e pettinandosi come loro, ascoltando la loro musica. Luoghi dove ragazzi e ragazze infrangono il tabù di stare vicini, sfiorarsi al ritmo della musica. 
bodymovin'
Sono poveri, spesso poverissimi, ma la loro dignità commuove, commuove il modo con cui sorridono alla macchina fotografica, si mettono in posa, rivendicano il loro esserci in quel preciso momento. Davanti a Malick si lasciano andare, si rivelano, perché hanno di fronte uno di loro, che non li sta giudicando ma fa semplicemente il proprio lavoro con rispetto e passione. E quando non sono più così poveri Malick ritrae il loro bisogno di legittimarsi, di mostrare i segni della prosperità faticosamente conquistata.

wow... how stylish

Avete presente i "fotografi di eventi"? Quei professionisti che, per mestiere, girano per tutti i locali e i luoghi di socialità (non solo) giovanile, fotografando a cottimo anche centinaia di persone in una sola sera? Ecco: Sidibé faceva esattamente quel mestiere. Cultura pop: niente di più, niente di meno. "Everywhere... in town, everywhere! Whenever there was a dance, I was invited". E' un artigiano, per intenderci, non ha mai avuto velleità artistiche, le tecniche le ha imparate guardando il suo maestro Gégé la Pellicule, l'attività in studio è subentrata successivamente. 
dressed up for the party
"You don't choose, you are called", dice. Di fatto, è un fotoreporter, probabilmente senza nemmeno rendersene conto. Così come non si rende conto che tutte le sue scelte - il black and white, lo sfondo dello studio a righe verticali bianche e nere, il pavimento a scacchi - diventeranno ben presto la caratteristica immediatamente riconoscibile del suo stile, il suo segno

gli inconfondibili patterns dello Studio Malick


Lo studio, poi, diventa il teatro del make-believe della gioventù maliana, il posto giusto per essere ciò che si vorrebbe essere. In cui tutti i ragazzi mostrano la loro forza in guantoni da pugile, in sella a una moto o in tenuta da sabato sera e in cui le ragazze giocano a fare le dive con stile e calcolata spontaneità. E' anche il luogo dove Malick espone il "bottino" delle sue serate in giro per la città, e in cui i ragazzi fanno a gare a puntare il dito e a riconoscersi, orgogliosi: "Eccomi, sono qui! Qui sto ballando con lei, sì sì, sono proprio io! E guarda che stile!". E' facile immaginarseli.
let's dance
Questo era ciò che accadeva. E Malick ha continuato a farlo accadere, perché non sapeva fare altro. Ha trasmesso il mestiere ai suoi figli maschi (ben sette, di tredici figli avuti da quattro mogli...) e continua ancora a riparare apparecchi fotografici, anche quelli del suo "rivale" Seydou Keita, che altrimenti non saprebbe a chi altro rivolgersi. 
just magic
Poi succede qualcosa. Succede che, nei primi anni Novanta, qualcuno in Europa inizia ad accorgersi di lui. Gallerie private, ma anche una certa Fondation Cartier di Parigi. Negli anni successivi le mostre si susseguono: Museum of Contemporary Art di Chicago, Stedelijk Museum di Amsterdam, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Nel 2003 riceve il più importante premio di fotografia del mondo, l'Hasselblad Award. Nel 2007 il già citato Leone d'Oro alla carriera alla 52a Biennale di Venezia. Nel 2008 il Lifetime Achievement dell'Infinity Award. Nel 2009 il World Press Photo - sezione Arts and Entertainment - per un servizio commissionatogli dal New York Times in cui ritrae giovani di Bamako vestiti Lacroix, Prada, Marni. Anche Marc Jacobs e Pennyblack gli commissionano servizi di moda. 
Malick Sidibé for The New York Times
Ma Malick Sidibé non è questo. O per lo meno, non soltanto. Mi permetto di citare un brano dell'articolo di Carlo Mazza Galanti, La potenza dei poveri, che racconta cosa accadde quando, qualche mese fa, andò a trovarlo a Bamako. 
"Improvvisamente, come si fosse dimenticato di un dettaglio importante, Sidibé ha trasportato in cortile una scatola rossa, più grande di quelle destinate a provini e negativi. Al suo interno, stipati disordinatamente come vecchi giocattoli: un Leone d’oro, l’Infinity award, il premio Hasselblad, la croce della Legione d’onore e varie altre onorificenze, una sola delle quali basterebbe a consacrare la carriera di un artista. Dopo averli approssimativamente spolverati e disposti a terra, i preziosi cimeli sono finiti preda dei bambini, come fossero davvero dei giocattoli, sotto lo sguardo divertito del patriarca. (...) Il contenuto di quella scatola, né osannato né dimenticato, l’austera formalità di quegli autorevoli emblemi mostrati con umiltà e rispetto a chi proprio grazie a loro, in fondo, è venuto a rendere omaggio, il loro posto apparentemente così misurato nell’economia simbolica della vita di Sidibé: (...) lasciandole a margine della sua vita “altra”, ha conservato intatta la propria povertà come un bene naturale".

il patriarca, i nipotini... e i premi (!!!)

Malick Sidibé è una occasione di festa vivente. Anche lui ha scritto addosso VITA a caratteri cubitali. La sua esperienza è l'esemplare testimonianza di come la felicità passi attraverso l'essere semplicemente ciò che si è, fare ciò che ci piace, vivere qui e ora e, senza nemmeno rendersene conto, fare proprie queste preziose parole del Buddha: "la mia mente è così poco contaminata dalle offese e dalle lodi, quanto lo è l'acqua in uno stagno di fiori di loto". Lasciando impolverare quei premi tanto preziosi, da tirar fuori per le occasioni buone, o lasciando che per i suoi nipoti siano un giocattolo come un altro.
la mia preferita: i cantanti maliani Amadou & Mariam, insieme a Manu Chao

2 commenti:

  1. ...che post, che immagini stupende (compresi i sottotitoli :D), che scrittura felice, puntuale. mi hai commossa e incuriosita, grazie.

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  2. :) grazie a te. spero che traspaia l'ammirazione che ho per questo personaggio. oltretutto, simboleggia un momento molto felice della mia vita. bacini.

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