Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

lunedì 5 settembre 2011

Occasione di festa numero 105.

Music Saves. Episodio 5. Estate 1995: Jeff Buckley e un'altra manciata di teenage memories (let's talk about love?).


ovvero: materiale per ricattarmi se non mi volete bene o ogniqualvolta non siate d'accordo con le mie recensioni a ca**o



L'estate del 1995 mi aveva condotta in un territorio del tutto nuovo. Ero passata dalla semplice adorazione a distanza a un contatto vero e proprio con l'oggetto della mia idealizzazione. Scoprii di avere di fronte un essere umano come me, neanche poi così bello come mi sembrava all'inizio, ma - caro F. se mai capiterai su questo blogghino devo rendertene merito - un ragazzo normalissimo che seppe comportarsi in modo onesto. 

C'è da dire che io interpretavo a modo mio (leggi: assurdamente) ogni cosa che faceva e diceva, scrivendogli lettere deliranti in cui in realtà parlavo a me stessa, ma me la prendevo comunque con lui perché non parlava chiaro. Povero F.: non sapeva come dirmelo. Non voleva ferirmi, e così mi tenne sulla graticola tutta l'estate. 
Fu un'estate meravigliosa, nonostante questo. O forse soprattutto per questo: speravo sempre, intimamente, di poter avere anch'io qualcosa da raccontare e la cosa non mi pareva più così assurda e irrealizzabile come prima. Certo, di strada da fare ce n'era ancora. Continuavo a non curarmi molto. Ero ancora scontrosa e imbronciata. Però, gradualmente, qualche piccolo accorgimento sembrava funzionare: un accenno di rossetto o di eyeliner, una maglietta un po' più scollata o aderente, la pulizia del viso con regolarità. Stavo imboccando la strada giusta. 
Avevo trovato due amiche che mi avevano tanto aiutato in quella follia (chissà se mi leggono?) e ne fui felice, perché in qualche modo, seppur sempre bruttina e malinconica, mi sentivo accettata e ben voluta.
Persi quella che consideravo una delle mie più care amiche: ormai maggiorenne e fidanzata, era diventata troppo diversa da me. Il periodo dei giardinetti era ormai finito.

E quell'altra, che scelse la mia omonima a me per poi tornarsene con la coda tra le gambe? Avrei dovuto lasciar perdere già allora: quello era un gesto brutto, oltre che un segnale inequivocabile. Non volli ascoltarlo per la solita, dannata paura della solitudine.
Quante cose avrebbero potuto essere diverse.
Nonostante tutto questo, però, quella fu la mia estate memorabile, anche musicalmente, perché scoprii un artista meraviglioso che tanto avrebbe significato, non solo per me. L'anno precedente aveva pubblicato un disco per il quale la critica, unanimemente, era impazzita, ma io dovetti farmi convincere da MTV, che trasmetteva con regolarità il video di Grace, prima di acquistare l'album omonimo (in musicassetta!). Sto parlando di Jeff Buckley. 
Questo ragazzo dal volto angelico era difficilmente inquadrabile e indiscutibilmente fuori dalle mode. Dopo la sbornia grunge e la cerebrale, passeggera infatuazione per due generi tra loro lontanissimi, il neo-punk di Green Day e Offspring e il Trip-Hop della scena di Bristol (Massive Attack, Tricky, Portishead), la musica di Jeff si impose parlando allo stomaco, e non alla testa. 
Lui faceva la sua musica, a prescindere da tutto, ma ciò che lo rendeva un instant classic era la sua voce. Capace di toccare tonalità celestiali e di ricamare scenari emotivi di grandissima intensità, sorprendeva per padronanza e disarmante umanità. Jeff conquistò i cuori di molti, e quell'unico suo album (morirà tragicamente nel '97) diventò da subito una pietra miliare e un modello a cui ispirarsi, soprattutto vocalmente. 
Chi non ha mai ascoltato la sua versione di Hallelujah di Leonard Cohen? Forse non sapete che è sua, ma l'avrete certamente sentita e vi avrà senza dubbio conquistato. Era un artista che veniva da un altro mondo, e mi piace pensare che la sua morte precoce sia stato un modo di tornare a casa. 
Eh sì, caro Jeff. Eri bello e bravissimo. E la tua Last Goodbye fu la colonna sonora di quella mia disgraziata infatuazione, lo sfondo di tre mesi passati sulle montagne russe della speranza e della disillusione. Tre mesi vissuti pienamente, magicamente, in cui tutto mi sembrava possibile. Ascoltavo te, Jeff, mentre il mondo impazziva per una disgraziata, scoperta da Madonna, che aveva saputo vendere camionate di dischi sfruttando l'ultima scia della rabbia grunge in chiave mainstream, condendola di turpiloquio e urla stonate: Alanis Morissette. 
Ebbene sì: odio il suo primo disco. Mi fa schifo. E' una ruffianata di cattivo gusto cantata e suonata male, un prodotto di marketing che con la musica non aveva nulla a che fare. Tutti matti per questa, tranne me. E vabbè. Tutti pazzi per lei, e io nella mia torretta d'avorio a leggermi Rumore e ad ascoltare Radio Flash, a godermi ancora quel gran capolavoro dei Faith No More King for a Day Fool for a Lifetime (tuttora uno dei dischi che ho ascoltato di più nella mia vita). 
Nelle classifiche si assisteva al lento declino della prima indimenticata boy-band degli anni '90 (sì sì sì proprio i Take That, ormai orfani di Robbie) e all'esplosione di quell'eurodance che ha segnato tutta la prima metà del decennio riempiendo piste da ballo ed airplay radiofonici, e diventando, per molti miei coetanei, la colonna sonora di pomeriggi in discoteca ed estati al mare alle prese con le prime esperienze sentimentali (as usual: tutti, tranne me, che avevo passato qualche giorno di vacanza - per di più piovoso - a Venezia). 
Mentre la maggioranza dei sedicenni italiani muoveva il culetto e imparava a limonare sulle note di Be my lover di La Bouche e The colour inside dei Ti.Pi.Cal (... e non fate finta di niente! So che state canticchiando!), la piccola eremita sognava a occhi aperti con Wild Wood di Paul Weller e, se proprio era di buon umore, metteva su Alright dei Supergrass, tre giovanissimi inglesi che preannunciavano la nuova ondata musicale che stava per travolgere tutti, nerd e non solo: il Brit Pop.
I publifono balneari di tutta Italia sparavano Scatman's WorldX colpa di chi di Zucchero, Bum Bum di Irene Grandi, Sentimento Pentimento dei Neri per Caso, Gelosia dei Dirotta su Cuba, mentre io a casa, prima di addormentarmi con le (solite) cuffiette sgangherate nelle orecchie, chiudevo gli occhi, ascoltavo Missing degli Everything but the girl o Hideaway dei De'Lacy e mi mettevo a sognare. 
Sognavo quel che per molte coetanee era la normalità: di essere una sedicenne come tutte, spensierata quanto basta ma non stupida, che aveva aspettato tutto l'anno la sua vacanza al mare e ora finalmente era lì, sulla pista da ballo che dava sulla spiaggia, le stelle sopra la testa, e quel ragazzo carino che le ballava accanto e continuava a sorriderle.

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