Così ci siamo andati, in giornata. L'ingegnere era in uno di quei momenti-kamikaze in cui ti pare normale sciropparti 500 chilometri nel giro di dieci ore, e, all'alba delle undici del mattino di una luminosa domenica, siamo partiti. Alle due ci siamo. Nessun traguardo, si gironzola e basta, come nelle migliori gite ad minchiam che si rispettino. E così arriviamo sul lungomare, a rifocillarci in un chioschetto invaso da russi, ricchi e bellissimi (maschi esclusi, ma questo già si sapeva). Ci sono due gemelline di tre anni incantevoli e vestite di bianco, un cameriere mezzo ubriaco che tiene i vassoi barcollando, tante madamine piemontesi che tirano la stagione.
Con la pancia piena e il sole a picco ci avventuriamo nel centro storico, passiamo davanti al deludente teatro Ariston coi suoi cartelloni di Kung Fu Panda 2 e ci avviciniamo a quel luogo immondo e tentatore chiamato Casinò. Ora, il primo pensiero - che al mondo esistano luoghi dove si gioca il denaro - mi mette i brividi. Il secondo pensiero va all'amato Dostoevskij, che se non avesse giocato al casinò e non si fosse indebitato mostruosamente, non ci avrebbe mai regalato tanti capolavori dei suoi (eh, lo yin e lo yang). E quindi, presa da questi due pensieri contrastanti, e confusa ulteriormente dall'ingegnere, che pareva subire un inspiegabile attrazione (o curiosità?) verso questo luogo indegno, ho ceduto.
Ma con classe, come mio solito. Al motto fatalista di: "se deve succedere, succederà anche con soli dieci euro", ci siamo avventurati. Entriamo subito in una sala piena di slot machines e soprattutto di donne anziane in gita turistica in preda al delirio dell'azzardo. Immalinconiti dalla visione, ci avviciniamo alla slot di Star Wars, infiliamo la diecieuro e, tempo un minuto, la macchinetta spara una ricevuta in cui c'è scritto che abbiamo vinto 0.20 euro. "I'm a loser baby, so why don't you kill me?" penso tra me e me; guardo l'ingegnere e decidiamo, in men che non si dica, di uscire da lì. Non prima di aver approfittato del bagno, unica cosa davvero degna di nota in un contesto triste e agghiacciante. Never more, my friends. Never more.
Per fortuna lì dietro spunta una deliziosa anomalia sanremese, che ci invita a riscattare quanto prima la colpevole sortita al casinò.
E' la chiesa russa di Cristo Salvatore. Ora qui apro un piccolo capitolo sulla presenza russa a Sanremo che forsenontuttisannoche è ben radicata e importante. Infatti la moglie dello zar Alessandro II, Maria Aleksandrovna, nella seconda metà dell'800, prese a frequentare la cittadina per motivi di salute, e poi, innamoratasi del clima della Riviera, per piacere personale. E' lei a donare alla città le prime palme di quella che diventerà la Passeggiata Imperatrice (eh sì! L'imperatrice è proprio lei!), l'elegante lungomare di Sanremo. Non solo. Sono in molti a venirla a trovare durante i suoi soggiorni (e mi capirete se ci tengo a citare soprattutto il carissimo Tolstoj) e, sull'onda della moda sanremese, tanti nobili russi si trasferiscono qui in pianta stabile. Ecco quindi perché ci fu la necessità di costruire un luogo di culto dove questa ormai numerosa comunità (vi erano tra l'altro biblioteche, farmacie, fornai etc etc destinati esclusivamente ai russi) potesse riunirsi. Et voilà, nel 1913 viene inaugurata e oggi la possiamo ammirare nel suo anomalo splendore.
Girellando ancora un po' per la Pigna, il quartiere storico per intenderci, eccoci arrivati a un'altra, bellissima chiesa, la cattedrale romanica di San Siro. Mi butto sulle spalle il golfino ed entriamo in un edificio severo e affascinante, ricolmo di gente. C'è un battesimo!
Con la nonchalance degli imbucati, ci aggiriamo curiosi, io col golfino leopardato e l'ingegnere con una discreta t-shirt rosso fuoco, e ci piace pensare di aver dato quel tocco blasé (!) all'allegra atmosfera. Ormai esausti, ci dirigiamo al punto di partenza, non prima di aver gustato un ottimo gelato in riva al mare e aver fatto scorta di focaccine superyummy per il viaggio. Sulla strada del ritorno, un ultimo regalo: un tramonto insolito, col cielo solcato di pennellate chiare e scure che, alla luce del sole calante, assumevano sfumature dal giallo, all'arancio, al pesca, al fucsia.
Rivista con gli occhi di oggi, Sanremo non mi pare più questa imperdibile bellezza. Come accade spesso coi ricordi, la lontananza amplifica le sensazioni e cancella le note negative, i vuoti. Oggi Sanremo mi appare per quella che è: una cittadina dal clima perfetto che è diventata una grande icona pop. Diciamo che ve la consiglio per passare una giornatina spensierata (ma non fate come noi: 500 chilometri in un giorno non sono il caso). Però c'era lo spirito giusto: improvvisare, non pianificare, scoprire le cose man mano che accadono.
Alla prossima con un nuovo episodio di Riviera Life (two days in Montecarlo...)!
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