Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

martedì 9 marzo 2010

Occasione di festa numero 15.

Ieri ho parlato di una cosa, oggi per coerenza devo parlare di quell'altra cosa che avevo già in mente da prima.
Questo esordio così confusionario non vi spaventi: è pienamente in linea con l'argomento di oggi.
Dovete sapere che, fin da bambina, sono sempre stata considerata una bambina tranquilla, attenta, posata - parola, quest'ultima, che detesto, in quanto più adatta a un soprammobile che a un essere umano. Già su questi tre aggettivi avrei da ridire. Anzi, avrei da ridire proprio sulle etichette: come pensare di sminuire la complessità di un individuo in poche, banali parole? Eppure si fa, e lo facciamo tutti. E' un vizio culturale, purtroppo.
Dicevamo dei tre aggettivi. Ho da ridire in quanto:
a) "tranquilla" è un concetto relativo. Esteriormente apparirò pure calma, ma dentro covo un groviglio di complessità tali da avermi mandato in esaurimento nervoso non molto tempo fa. Il progresso è stato nell'accorgermene, nel guardarmi dentro, nel conviverci. E nella ricerca di una vera tranquillità - che è ben altra cosa, e non a caso il mio blogghino è tutto dedicato a questa ricerca!
b) "posata": tanto per cominciare, che significa? Etimologicamente, indica una persona che pensa a lungo prima di agire. Vero, verissimo. Il problema è che penso troppo a lungo, e va a finire che agisco poco. Così me ne sto lì, ferma, non do fastidio a nessuno, e non sono di nessuna utilità. Se posato deve significare non esporsi, non mettersi in gioco, mostrare di se solo i lati perbene - oddio, un'altra parola detestabile - per non essere attaccabile, allora lasciamo perdere. Il coté posato io l'ho abbandonato due anni fa, quando ho capito che l'esaurimento mi era venuto anche per questa abitudine - perché alla fine si tratta di un'abitudine, di un comportamento ereditato con l'educazione, anzi per meglio dire si tratta di una eccessiva educazione.
c) "attenta": a questa definizione di me stessa credevo anch'io, fermamente. Poi poco tempo fa è successo che, mentre parlavo con una persona a me molto cara, all'improvviso non ricordavo più di cosa stesse parlando, a chi o cosa si riferisse. E mi sono detta: forse perché quando me ne ha parlato la prima volta non ho prestato la dovuta attenzione?
Da lì si è scatenato un effetto valanga: ho ripensato alla fatica immane nel memorizzare e assimilare le lezioni a scuola (e leggi una volta, e leggi due volte, e sottolinea, e rileggi sottolineato, e ripeti una prima volta guardando il libro e una seconda volta senza guardarlo); ho ripensato a come non sapevo dire il colore degli occhi di persone a me care; ho ripensato a come non sapevo descrivere il loro abbigliamento; ho ripensato a come ho sempre bisogno che mi vengano ricordate le regole dei giochi perché le dimentico appena finito; ho ripensato a come, per cucinare, devo sempre avere sott'occhio la ricetta. E un'infinità di altri esempi coi quali non voglio tediarvi.
In poche parole: ho capito che la mia è una tremenda mancanza di attenzione. Se faccio una cosa, in realtà ne ho già in mente un'altra, e tengo in piedi contemporaneamente più pensieri e/o più cose da fare. Anche questo, forse, è un vizio culturale, o lo è in parte, perché ci viene chiesto di essere veloci, efficienti, attenti. Il tempo non basta mai allora corri, corri, ottimizza!
Ci sono persone che possiedono un'elevata capacità di concentrazione, e assimilano le informazioni con uno sforzo relativo. Queste persone, di solito, fanno sempre una cosa per volta, e, spesso, la fanno con calma.
Io sono il contrario. E la fatica che faccio mi ha reso la vita molto più complicata e stancante.
Però se ne può uscire, e io, lentamente, ci sto riuscendo.
Pulire la mente dai pensieri non necessari richiede una ferrea disciplina, così come la pratica stessa della meditazione. All'inizio, facevo resistenza, senza realmente rendermi conto del perché. I pensieri inquinanti avevano il sopravvento. Poi ho imparato a prestare attenzione unicamente al respiro, e mi si è aperto un mondo. All'improvviso c'era solo il respiro che, come una brezza tesa, aveva spazzato via tutte le nebbie. I problemi hanno iniziato a delinearsi nitidi, chiari, e altrettanto chiaro è stato capire come tentare di risolverli.
Bisogna farlo ogni giorno, e non scappare se quello che vediamo non ci piace! Anzi, dobbiamo guardarlo dritto in faccia e dirgli: tu sei parte di me, e io mi prenderò cura di te. Non possiamo essere tutti buoni, perbene, posati, tranquilli, attenti: nessuno lo è e, se vuole farcelo credere, mente a se stesso prima che a noi. Meno ci accaniamo contro quella parte sgradevole, più questa si armonizzerà con le altre, e anzi contribuirà a renderci unici e speciali rispetto a tutti gli altri. Non solo: gli altri, vedendo in noi quelle fragilità, si avvicineranno a noi più facilmente perché si sentiranno meno soli, fragili imperfetti e confusi come sono anch'essi.

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