Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

venerdì 2 dicembre 2011

Occasione di festa numero 119.


Nel 2008 i TV on the Radio, band originaria di Brooklyn attiva dal 2001, pubblicano uno dei miei album preferiti di sempre, Dear Science. Di questo album parleremo in separata sede, tanto è complesso e, per quanto mi riguarda, emotivamente impegnativo.
Stavolta, invece, voglio parlarvi del successore di questo album così acclamato, che è stato rilasciato proprio quest'anno e che si intitola Nine Types of Light.
Come fare a raccontare una band come i TV on the Radio a chi non la conosce? Forse partire dalla loro città d'origine, la metropoli per antonomasia, può essere utile. La loro musica è infatti lo specchio della parte più caotica, creativa ma anche dolente di New York. Un miscuglio di origini ed esperienze, suggestioni e interessi, che nell'eterogeneità trova una sua forma peculiare creando una band diversa da tutte le altre che potete aver sentito finora. Certamente c'è l'influenza della new wave, così forte fin dai primi anni Duemila nella scena musicale newyorkese; c'è un importante uso delle chitarre; c'è però una stratificazione sonora, un utilizzo spregiudicato di strumenti svariati, che non ritroviamo nella stessa scena; c'è il gusto per il ritmo, per la ballabilità, sebbene i risultati siano spesso sbilenchi e inusuali; ci sono l'elettronica, i sintetizzatori, le drum machines; c'è soprattutto una concezione modernissima del soul, del funk e del blues, modi di sentire figli delle origini black della maggior parte dei componenti ma rielaborati e filtrati proprio alla luce del contesto in cui la band si trova a emergere.
Proprio come la città di New York, anche la musica dei TV on the Radio è un amalgama altrove impensabile, che concilia gli opposti e sposta i limiti sempre un po' più in là, sempre più avanti di tutti gli altri, anche emotivamente, alternando la malinconia a spinte vitalistiche talvolta deflagranti e dissonanti.
E questo maturo Nine Types of Light, il quinto album della loro carriera, prosegue con classe e talento su un percorso di unicità che però non rinuncia mai alla sua natura pop nel senso più elevato del termine: tutti i loro album si fanno infatti ascoltare con piacevolezza, anche se, per essere apprezzati pienamente, richiedono ascolti ripetuti. 
Il disco presenta un'interessante natura bipolare, ancora più marcata rispetto ai suoi predecessori: da una parte le atmosfere ricamate e sognanti delle mai banali love songs, dall'altra la vera e propria psicosi sonora di episodi esplosivi e ai limiti della cacofonia. L'alternanza degli opposti crea un dinamismo che tiene continuamente sulla corda l'ascoltatore, come sempre dovrebbe accadere per le creazioni artistiche.
Il nucleo fisico e contenutistico è l'affascinante Killer Crane, più di sei minuti di sognante crescendo, pieno di aria e di luce ma con una sottilissima linea malinconica e psichedelica che lo fa richiudere alla fine come un fiore al tramonto. 
Attorno a questo pezzo succede un po' di tutto: a Second Song, che in realtà è la prima canzone della tracklist, si resiste con molta difficoltà, con il suo falsetto insolente, il coro u-u-u-u-u-u che ti entra subito in testa e quei bei fiati nel refrain, ballabilissimo; ci si abbandona all'apocalisse a passo di danza in No Future Shock, tutta storta e mal cantata e dissonante però perfetta ("dance/ don't stop/ do the no future / do the no future shock") - quale altro pezzo oggi è in grado di cantare i contraddittori e cupi e caotici tempi che stiamo vivendo con la stessa intensità e ironia? Sempre seguendo il percorso maniacale di questo album bipolare ci conquistano il bellissimo blues moderno di New Cannonball Blues, muscolare invito a reagire, a buttar fuori la malinconia; la litania ossessiva di Repetition, che cresce nerissima e inarrestabile (let's rock!); l'aprirsi e chiudersi con violenza, trattenendo e rilasciando, di Caffeinated Consciousness ("gone optimistic/ we're gonna survive!" eheh). 
E poi, come si diceva prima, l'album nella sua fase depressiva o per meglio dire più down tempo, atmosferica, densa, predilige tematiche amorose e suggestivi paesaggi sonori: il singolo di lancio Will Do (video bellissimo, vedetevelo!) è una dolce ninnananna per cuori infranti, elegante e rarefatta; Keep Your Heart, così silenziosa e discreta, ma ricca di soluzioni sonore e di cambi, e capace di aprirsi in un ritornello che spazza via le nuvole e di sciogliere i cuori più duri con le semplici parole "with the world all falling apart/ i'm gonna keep your heart" (sniff); You, forse il brano meno riuscito dell'album per via di quel sintetizzatore un po' troppo invadente ma pur sempre pregevole nella sua costruzione classicamente pop; e infine la migliore dei down tempo, Forgotten, che mantiene un'incantevole tonalità cupa impreziosendola con un bell'inserto di archi e un'efficace alternanza tra i toni baritonali e il falsetto del cantato, chiudendo il tutto con un'inaspettata esplosione di suoni e rumori che rimandano a quell'idea di energia trattenuta che molte volte ricorre nella musica dei TV on the Radio.
In definitiva, anche questa volta una delle migliori band in circolazione non tradisce le aspettative, anzi prosegue un percorso di coerenza e di eleganza non così comune oggi. Aggiungendo forse poche novità, ma lasciando dietro di sé tanti piccoli semi che, in futuro, nello schiudersi, daranno vita a qualcosa che per il momento rimane difficile da prevedere, ma che sarà, comunque, sempre piacevole ascoltare.

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